Caro Lettore,
non c’è niente da fare, è di nuovo sabato e ho bisogno di pensarti così: rilassato. Non spensierato, no, ché i giorni senza pensieri non sono mai esistiti. Ma coi nervi morbidi, capace di pensare, pur nelle brutture, senza far leva su altro che non sia pensiero. D’agire, pur nei contrasti, senza impastare i muscoli d’altro che non sia azione. Impiantato in un solare ed equilibrato sabato d’agosto, per dirla in breve.
Qualora non sia così ti propongo oggi una nuova lettura tratta da Tutti al mare di Michele Serra (Feltrinelli… l’ultimo del trittico).
«Il calcio-balilla (più familiarmente, calcetto o biliardino), fino a vent’anni fa abitava in tutte le spiagge italiane, da giugno a settembre. A stagione ultimata, finiva in quei depositi umidi e oscuri, dall’inconfondibile profumo di materassino, nei quali i bagnini ripongono alle prime mareggiate autunnali mosconi, ombrelloni, canotti orfani, pinne spaiate e altri arredi da mare. Soltanto i tavoli da ping-pong, più prestigiosi ma anche più rari, contendevano al biliardino l’amore dei giovani e giovanissimi bagnanti. Anche perché il biliardino, tra i suoi inestimabili pregi (rumorosità schioccante e allegrissima, grande capacità socializzante perché si giocava in quattro, possibilità di sfiorare col gomito la ragazzina che ti stava al fianco(, ne aveva uno decisivo: con una serie di banali trucchi si poteva giocare con cento lire per interi pomeriggi.
Il più classico consisteva nell’inserire un bastoncino di mattarello (anche “passeggino”) spezzato in due lungo la barra da tirare verso l’esterno per far scendere le palline bloccandola e costringendo così le palline terminate in gol a tornare in gioco, in un delizioso moto perpetuo. Per il secondo imbroglio bastavano due fogli di carta di giornale: collocati all’interno delle porte, impedivano alla pallina di scendere nel vorace ventre del calcetto. Ricordo benissimo che il mio amico Gianni Varetto, di Torino, sulla spiaggia di Sanremo con una sola pallina riuscì ad arrivare fino a settembre, quando purtroppo dovette andarsene per gli esami di riparazione.non c’è niente da fare, è di nuovo sabato e ho bisogno di pensarti così: rilassato. Non spensierato, no, ché i giorni senza pensieri non sono mai esistiti. Ma coi nervi morbidi, capace di pensare, pur nelle brutture, senza far leva su altro che non sia pensiero. D’agire, pur nei contrasti, senza impastare i muscoli d’altro che non sia azione. Impiantato in un solare ed equilibrato sabato d’agosto, per dirla in breve.
Qualora non sia così ti propongo oggi una nuova lettura tratta da Tutti al mare di Michele Serra (Feltrinelli… l’ultimo del trittico).
«Il calcio-balilla (più familiarmente, calcetto o biliardino), fino a vent’anni fa abitava in tutte le spiagge italiane, da giugno a settembre. A stagione ultimata, finiva in quei depositi umidi e oscuri, dall’inconfondibile profumo di materassino, nei quali i bagnini ripongono alle prime mareggiate autunnali mosconi, ombrelloni, canotti orfani, pinne spaiate e altri arredi da mare. Soltanto i tavoli da ping-pong, più prestigiosi ma anche più rari, contendevano al biliardino l’amore dei giovani e giovanissimi bagnanti. Anche perché il biliardino, tra i suoi inestimabili pregi (rumorosità schioccante e allegrissima, grande capacità socializzante perché si giocava in quattro, possibilità di sfiorare col gomito la ragazzina che ti stava al fianco(, ne aveva uno decisivo: con una serie di banali trucchi si poteva giocare con cento lire per interi pomeriggi.
Ci sembrava, allora, che turlupinare il gestore fosse impresa spavalda e furbissima: ripensandoci adesso, e ripensando, per esempio, al bagnino Mario, che la sapeva sicuramente più lunga di una mezza stecca di mattarello, penso che tutti i gestori di tutti i biliardini d’Italia sapessero benissimo che tutti i bambini italiani imbrogliavano: ma non dicevano niente perché il commercio di ghiaccioli e mattarelli, attorno al calcetto, prosperava come non mai. Forse il primo “investimento a perdere” nella allora pioneristica storia dell’industria balneare » (p. 82).