Caro Lettore,
leggi queste da L’eleganza del riccio di Muriel Barbery (Edizioni e/o):
«Per chi ignora l’appetito il primo morso della fame è al contempo una sofferenza e un’illuminazione» (p. 34).
«La fenomenologia mi sfugge, e questo mi è insopportabile» (p. 47).
«In definitiva che una Sabine Pallières usi la punteggiatura a sproposito è una bestemmia tanto più grave in quanto, al contempo, poeti meravigliosi nati in caravan puzzolenti o in baraccopoli nutrono per essa il santo rispetto che è dovuto alla Bellezza. Ai ricchi il dovere del Bello. Altrimenti meritano di morire» (p. 104).
«È ciò che succede in tanti momenti felici della nostra esistenza. Sollevati dal fardello della decisione e dell’intenzione, navigando sui nostri mari interiori, assistiamo ai nostri movimenti come se fossero le azioni di un altro e tuttavia ne ammiriamo l’involontaria eccellenza. Quale altro motivo potrei avere io per scrivere questo, il ridicolo diario di una portinaia che invecchia, se non che la scrittura somiglia all’arte del falciare? Quando le righe divengono demiurghe di sé stesse, quando assisto, come un miracoloso insaputo, alla nascita sulla carta di frasi che sfuggono alla mia volontà e che si imprimono sul foglio mio malgrado, esse mi fanno conoscere quello che non sapevo né credevo di volere, gioisco di questo parto indolore, di questa evidenza non calcolata, e del fatto che seguo senza fatica né certezza, con la felicità delle meraviglie sincere, una penna che mi guida e mi porta» (p. 118).
«Forse essere vivi è proprio questo: andare alla ricerca degli istanti che muoiono» (p. 267).
leggi queste da L’eleganza del riccio di Muriel Barbery (Edizioni e/o):
«Per chi ignora l’appetito il primo morso della fame è al contempo una sofferenza e un’illuminazione» (p. 34).
«La fenomenologia mi sfugge, e questo mi è insopportabile» (p. 47).
«In definitiva che una Sabine Pallières usi la punteggiatura a sproposito è una bestemmia tanto più grave in quanto, al contempo, poeti meravigliosi nati in caravan puzzolenti o in baraccopoli nutrono per essa il santo rispetto che è dovuto alla Bellezza. Ai ricchi il dovere del Bello. Altrimenti meritano di morire» (p. 104).
«È ciò che succede in tanti momenti felici della nostra esistenza. Sollevati dal fardello della decisione e dell’intenzione, navigando sui nostri mari interiori, assistiamo ai nostri movimenti come se fossero le azioni di un altro e tuttavia ne ammiriamo l’involontaria eccellenza. Quale altro motivo potrei avere io per scrivere questo, il ridicolo diario di una portinaia che invecchia, se non che la scrittura somiglia all’arte del falciare? Quando le righe divengono demiurghe di sé stesse, quando assisto, come un miracoloso insaputo, alla nascita sulla carta di frasi che sfuggono alla mia volontà e che si imprimono sul foglio mio malgrado, esse mi fanno conoscere quello che non sapevo né credevo di volere, gioisco di questo parto indolore, di questa evidenza non calcolata, e del fatto che seguo senza fatica né certezza, con la felicità delle meraviglie sincere, una penna che mi guida e mi porta» (p. 118).
«Forse essere vivi è proprio questo: andare alla ricerca degli istanti che muoiono» (p. 267).