Caro Lettore,
leggi queste da L’arte della gioia di Goliarda Sapienza (Einaudi), un testo che vale la pena affrontare:
«Mai rifiutarsi di vedere i lati sgradevoli della vita; non conoscendoli la realtà li ingigantisce nella fantasia trasformandoli in incubi incontrollabili» (p. 98).
«Ecco che cosa dovevo fare: studiare le parole esattamente come si studiano le piante, gli animali… E poi, ripulirle dalla muffa, liberarle dalle incrostazioni di secoli di tradizione, inventarne delle nuove, e soprattutto scartare per non servirsi più di quelle che l’uso quotidiano adopera con maggiore frequenza, le più marce, come: sublime, dovere, tradizione, abnegazione, umiltà, anima, pudore, cuore, eroismo, sentimento, pietà, sacrificio, rassegnazione. Imparai a leggere i libri in un altro modo. Man mano che incontravo una certa parola, un certo aggettivo, li tiravo fuori dal loro contesto e li analizzavo per vedere se si potevano usare nel “mio” contesto. In quel primo tentativo di individuare la bugia nascosta dietro parole anche per me suggestive, mi accorsi di quante di esse e quindi di quanti falsi concetti ero stata vittima. E il mio odio crebbe giorno per giorno: l’odio di scoprirsi ingannati» (p. 135).
«Non c’è niente da fare, come diceva mia madre, ogni dieci anni bisogna rileggere i libri che ci hanno formato se si vuol venire a capo di qualcosa» (p. 310).
«Ma come si deve fare per farvi capire che molti desideri vi vengono inculcati dall’alto per usarvi? Capisco che sia difficile per un povero che deve sfamarsi e imparare a leggere prima di sapere chi è e che cosa vuole. Ma tu, tu hai pane e libri, e non puoi avere scusanti» (p. 379).
leggi queste da L’arte della gioia di Goliarda Sapienza (Einaudi), un testo che vale la pena affrontare:
«Mai rifiutarsi di vedere i lati sgradevoli della vita; non conoscendoli la realtà li ingigantisce nella fantasia trasformandoli in incubi incontrollabili» (p. 98).
«Ecco che cosa dovevo fare: studiare le parole esattamente come si studiano le piante, gli animali… E poi, ripulirle dalla muffa, liberarle dalle incrostazioni di secoli di tradizione, inventarne delle nuove, e soprattutto scartare per non servirsi più di quelle che l’uso quotidiano adopera con maggiore frequenza, le più marce, come: sublime, dovere, tradizione, abnegazione, umiltà, anima, pudore, cuore, eroismo, sentimento, pietà, sacrificio, rassegnazione. Imparai a leggere i libri in un altro modo. Man mano che incontravo una certa parola, un certo aggettivo, li tiravo fuori dal loro contesto e li analizzavo per vedere se si potevano usare nel “mio” contesto. In quel primo tentativo di individuare la bugia nascosta dietro parole anche per me suggestive, mi accorsi di quante di esse e quindi di quanti falsi concetti ero stata vittima. E il mio odio crebbe giorno per giorno: l’odio di scoprirsi ingannati» (p. 135).
«Non c’è niente da fare, come diceva mia madre, ogni dieci anni bisogna rileggere i libri che ci hanno formato se si vuol venire a capo di qualcosa» (p. 310).
«Ma come si deve fare per farvi capire che molti desideri vi vengono inculcati dall’alto per usarvi? Capisco che sia difficile per un povero che deve sfamarsi e imparare a leggere prima di sapere chi è e che cosa vuole. Ma tu, tu hai pane e libri, e non puoi avere scusanti» (p. 379).