Si avvicina l'ora di cena ed io sono pronto a mettere in scena il piacere di una settimana alla tavola dei romani. Qualche post mi è uscito anche prima, non sono riuscito a trattenermi. Piuttosto, e me ne rammarico, manca lo scatto alla coda alla vaccinara, e non solo quello: a volte è più veloce la forchetta.
mercoledì 3 dicembre 2025
Si avvicina l'ora di cena
Lungotevere Arnaldo da Brescia
Eravamo lì, a poche centinaia di metri. Ancora sul lungotevere. Non potevamo non metterci in cammino. Non potevamo non raggiungere il Lungotevere Arnaldo da Brescia, noi che di sera lo raccontiamo sul palcoscenico, lì dove l'Italia si è piegata ad una storia che la Resistenza ha interrotto, tracciando un sentiero che (purtroppo) continua ad essere percorso.
Al monumento a Giacomo Matteotti non sono riuscito a fare degli scatti capaci di darmi soddisfazione. Ma non posso non fermarli su questo blog, a mia memoria, per i giorni in cui cercherò ricordi. Noi dello spettacolo "Matteotti - Anatomia di un fascismo" c'eravamo.
martedì 2 dicembre 2025
Favole dell'abbandono: Nascondino
Una nuova Favola dell'abbandono è pronta a farsi leggere: "Nascondino".
L'ispirazione è la sedia di mia figlia che, pur così diversa dalle altre, è protagonista della cucina di casa.
lunedì 1 dicembre 2025
Il ritorno di Chisciottə
Ma che bello! Sabato 13 dicembre, alle ore 21, “In Arte son Chisciottə” tornerà in scena in un'attesa occasione d'incontro al Teatro Comunale Mario Spina di Castiglion Fiorentino (AR). Acquistare il biglietto è il tempo di un click! Lo spettacolo inaugurerà ufficialmente la stagione teatrale 2025/26. Sono felicissimo!
sabato 29 novembre 2025
venerdì 28 novembre 2025
Il punto di vista
Porto i miei piedi lì dove hanno posato, tracciato strade e sentieri, piedi importanti, piedi famosi. Dai primi anni del Ventesimo secolo. Dal varietà e dall'avanspettacolo. Piedi salterini, piedi comici, piedi piatti (chi può mai saperlo). Tra quei piedi quelli di Aldo Fabrizi, di Totò, di Anna Magnani, per citarne alcuni.
Centinaia, forse migliaia di piedi che non si sono scoraggiati. Che hanno attraversato il cinema, l'abbandono, la ricostruzione e, dal 1986, la prosa, con la compagnia Attori e Tecnici fondata da Attilio Corsini e Viviana Toniolo.
Porto i miei piedi nei camerini del Teatro Vittoria di Roma e questo è il loro punto di vista.
giovedì 27 novembre 2025
I geni delle muse
"I geni delle muse" abitatori del soffitto del Teatro Comunale Luca Ronconi di Gubbio, disegnati dal pittore Raffaele Antonioli tra gli anni 1859 e 1862. Sono 12 ma qui ne ho ripresi solo 11 (due, in verità, mi sono sembrati in tutto o per la maggior parte identici... saranno stati geni gemelli).
Li trovo strepitosi, magnetici, intriganti. Geniali!
Concia di zucchine
Concia di zucchine: zucchine, menta ostinata, aceto gentile, profumo di sole. A Roma certe foglie non cadono, neanche d'autunno.
mercoledì 26 novembre 2025
Il carciofo alla giudia
Croccante come una festa improvvisa, dorato come un pomeriggio di sole: il carciofo alla giudia è quel miracolo romano che trasforma un semplice ortaggio in poesia fritta. Da mangiare rigorosamente con le mani, come sfogliando margherite.
Testaccio
Notturno Testaccio. "The Jumping Wolf" dell'artista belga Roa, l'inno all'istinto che non dovrebbe essere calpestato.
Puntarelle
Puntarelle con l'alice
per sentirsi più felice!
Il debutto a Roma di "Matteotti" andava festeggiato con un piatto tipico impossibile da recuperare altrove perché le puntarelle così le trovi solo qui.
martedì 25 novembre 2025
Teatro Ronconi
Platea del Teatro Luca Ronconi di Gubbio. Trecento anni di storia portati bene anche se al momento presenta qualche acciacco proprio lì dove il sedere deve trovare pace, per lasciare che la testa faccia quel che deve fare: pensare.
Risolviamo omicidi
Conserverò in quest'archivio digitale di citazioni quel Gary Gough che ognuno di noi conosce insieme ad un buon consiglio che alla mia età (Steve sa di cosa parlo, grazie Steve) è sempre bene tener presente.
(Pag. 73) Giorno dopo giorno, Steve doveva vedersela con i Gary Gough di questo mondo. se ti guardi intorno nella New Forest, a raggio abbastanza ampio, ne trovi in giro ancora un bel po'. Quelli abbastanza di successo da non essersi mai fatti beccare. Quelli abbastanza furbi da non dare troppo nell'occhio, abbastanza svegli da uscire di scena al momento giusto. Con le loro siepi sussiegose e i trattorini tosaerba, sempre a smaniare per i soldi e per il gin. Gary avrà ancora qualche asso nella manica da giocarsi, ma Steve ha perso l'interesse. Quando arresti un Gary Gough, ne salta fuori un altro uguale da un'altra parte, poi un altro, poi un altro ancora, e di nuovo un altro. Un mare di Gary Gough, tutti lì ad aspettare il proprio turno. A volte capita che un Gary Gough uccida un altro Gary Gough poi un terzo Gary Gough attui la vendetta. Una stanchezza fottuta. Una noia fottuta.
(Pag. 103) Steve però ha imparato che non si deve mai provare risentimento per la felicità altrui. Ognuno si prende il meglio che gli è capitato, e capita che ci sia chi ha più fortuna di te. Ogni volta che senti che la tua infelicità si trasforma in amarezza, devi controllarti. Puoi convivere con l'infelicità, ma l'amarezza finirà per ammazzarti.
Matteotti al Teatro Vittoria
La mattina di una settimana romana. Fuori piove ed io penso al dentro. Fuori è ancora buio ed io penso alla luce. Fuori è silenzio ed io penso alle parole.
Da questa stasera a domenica 30 novembre aspetto chi può e chi vuole al Teatro Vittoria con "Matteotti - Anatomia di un fascismo", di Stefano Massini, con Ottavia Piccolo e I Solisti dell'Orchestra Multietnica di Arezzo.
domenica 23 novembre 2025
Se non più felici, più spensierati
(pag. 60). «Erano anni belli, eh?»
Il maresciallo continuava a pensare a cosa era appena
accaduto.
«Erano anni in cui tutto poteva succedere ed eravamo, se non
più felici, più spensierati. A partire dai bambini: ma li vede lei oggi i
ragazzini che hanno un’agenda fitta d’impegni manco fossero Lionel Messi?
Lezioni di sport, di musica, ripetizioni, lingue straniere… portano zaini più
grandi di loro, addirittura hanno fatto lo zaino trolley! E poi sono tutti soli
con gli occhi sul telefono, nessuno che guarda il cielo e le altre persone. Io
boh. Per non parlare delle canzoni: all’epoca sembravano leggere e un po’ sceme
ma i ragazzini ancora adesso conoscono Gioca Jouer, e Maledetta
primavera la cantano pure all’Armani Cafè ai compleanni vip. Quante canzoni
di oggi canteremo tra quarant’anni? Non ci ricordiamo neanche le hit dell’anno
scorso.»
sabato 22 novembre 2025
Non potrà andare peggio
Mi sono preso il tempo di scrivere questa storiella. L'idea di partenza: a quale specie passare l'intelligenza, questa incredibile magia della mente, quando l'uomo si sarà estinto? Immaginando, anche senza troppa immaginazione, che l'estinzione non sia poi così lontana (e che, a ben assistere dai nostri contributi a tutto ciò che è, sia perfino meritata).
La risposta mi è arrivata scrivendo. I curiosi leggano: "Non potrà andare peggio".
Come al solito delle mie Ai Stories la storia è mia e l'immagine me l'ha disegnata IA.
giovedì 20 novembre 2025
A tutti i carcerati
(Pag. 300) Dedico perciò questo romanzo a tutti i carcerati, reali e metaforici, con l’augurio che la loro voce possa sempre trovare ascolto. Perché la parola è il solo, vero strumento che abbiamo per comprendere il male, ricucire le ferite, difendere pace e libertà.
(Pag. 214) La letteratura era lì, nel suo fragile corpo fatto di carta e inchiostro ma con tutta la sua potente, incomparabile capacità di farsi strumento di liberazione e rinascita.
(P. 119) I libri mi aiutavano molto. Perché la cosa bella che trovi nei libri è la meraviglia dell’imperfezione della vita, l’oscuro che diventa cifra percepibile. E si tratta di una cifra bellissima, proprio perché è inafferrabile.
martedì 18 novembre 2025
La meraviglia di una foto
La meraviglia di una foto, di uno scatto, di un millesimo di secondo strappato al tempo. Sarà per questo che mi sento già così vecchio in questo mondo che ha azionato la centrifuga quando servirebbe solo un buon prato dove stendersi al sole.
4 novembre 2025. Orchestra Multietnica di Arezzo e Dario Brunori nei camerini del Teatro Verdi di Monte San Savino. Ed è già storia. La nostra storia.
Foiano Book Festival 2025
Ritrovarsi nella felice condizione di presentatore. Con la giusta emozione. Con quel pezzo di cuore che batte. Al Foiano Book Festival può capitare anche questo.
15 novembre 2025. Insieme ad Enrico Fink, Ottavia Piccolo e Massimo Ferri per la presentazione del libro "Patrilineare. Una storia di fantasmi" (Edizioni Lindau).
domenica 16 novembre 2025
Teatro Morlacchi
Teatro Morlacchi di Perugia. La meraviglia di un teatro all'italiana inaugurato nel 1781 anche se la struttura attuale è del secolo successivo. Un incanto di luce, di rosso, di eleganza firmata diciannovesimo secolo. Un luogo dove l'architettura ti abbraccia, con oro e velluto, per tenerti al caldo. Meglio di un orsetto per le notti in cui hai paura di chiudere gli occhi.
sabato 15 novembre 2025
Apotema
"Apotema". Da quanto tempo non sentivo questa parola. Resuscita come da un altro secolo. Un altro millennio. Ed è proprio così. Un suono antico che sa di penna, di carta. Di righe disegnate a mano col righello di legno. Di problemi pensati e risolti. Di quelle prime immagini nella testa che ti lasciavano intravedere l'impossibile ragionando che ogni cosa, anche quella mai pensata, era possibile. Avere qualcuno che fa la scuola primaria (anche per te) dà delle soddisfazioni. Dei piccoli brividi, di sabato mattina, da misurare col righello, quello che portavi a scuola quando ancora si chiamava elementare.
giovedì 13 novembre 2025
martedì 11 novembre 2025
Cucina
Quando le prove finiscono, il clarone riposa nella sua custodia, il palco tace e torna al buio, il piacere che sempre aspetti è un sipario aperto sulla cucina: un tavolo apparecchiato, un calice di vino, un piatto tipico di un territorio che hai appena iniziato a scoprire o che ti è rimasto nel cuore o che cerchi di ricordare.
Leonard Bernstein pare che abbia detto: “Un grande pasto, come una grande sinfonia, richiede tempo, passione e un po’ di fame.” Semplicemente d'accordo anche se un piccolo pasto, per oggi, può bastare.
lunedì 10 novembre 2025
Matteotti - le date di novembre e dicembre 2025
A proposito di "Matteotti - Anatomia di un fascismo" (cfr. post precedente), qui sotto, in sintesi, le date e i luoghi dei mesi di novembre e dicembre 2025. Sul palco l'insuperabile Ottavia Piccolo e I Solisti dell'Orchestra Multietnica di Arezzo. Drammaturgia di Stefano Massini. Regia di Sandra Mangini. Il resto lo trovate leggendo la scheda.
Troncamacchioni
Non potevo trovare parole migliori per iniziare la nuova tournée di “Matteotti - Anatomia di un fascismo”. Ricordando un polesine toscano, di acqua e terra, latifondo e tasche vuote, sfruttamento e miseria. E l’idea, la visione, la necessità, il sogno, l’utopia di un’umanità migliore, o di poche lire in più in tasca per accendere la stufa, col sottofondo dei manganelli.
Leggere questo testo è un risarcimento alla memoria della mia terra, della mia Toscana, perché ce n’è sempre bisogno, oggi più di ieri: “Troncamacchioni” di Alberto Prunetti (Feltrinelli). Partirò dall’inizio perché è fenomenale. Due pagine meravigliose che non voglio dimenticare. Insieme al resto.
Per saperne di più, a partire dai troncamacchioni, rimando alla seguente pagina su www.ospiteingrato.unisi.it.
(Pagg. 11 e 12). C’era una volta cent'anni fa una Maremma ribelle, sovversiva e indomita. Una Maremma diversa da quella di oggi. Una Maremma crognola, tetragona, armigera. Una Maremma proletaria, solidale, minerale. Quella Maremma i fascisti banno provato a bonificarla. Ne hanno fatto una Maremma domesticata, ispezionata, spiata, diretta, legiferata, regolamentata, recintata e indottrinata. Una Maremma catechizzata, controllata, censurata e comandata. Una Maremma annotata, registrata, censita, timbrata, squadrata, postillata e impedita. Una Maremma riformata, raddrizzata e corretta. Una Maremma ammonita, fuoriuscita e confinata.
Ma io vi canterò di quell'altra Maremma. La Maremma ribelle e indomita. Canterò allora l'armi e gli eroi, il sangue e il respiro grosso, la rabbia e l'ira funesta dei villici crognoli di Maremma. Narrerò le fughe tra i lecceti gli scopeti i castagneti e i forteti, col cuore in gola e le labbra spaccate, coi piedi gonfi dal freddo e le narici piene di tabacco. Vi dirò di carbonai impeciati che mangiano leccio e cacano carbonella, di carbonai che ceduano il bosco a cottimate di bestemmie mentre il mulaio smacchia salmodiando sulla virtù della moglie del granduca Leopoldo di Lorena, secondo di questo nome, che notoriamente se la face tu con Pionono. Potrei dirvi poi dell'orrido marmo, a perpetua memoria e sollazzo dei piccioni, dedicato a Canapone, che faceva ridere tutta Firenze, dalle mura al Bargello, col suo giallo testone. E come non citare quel gesuita, lo Ximenes, che mise rubinetti per tutti i paduli, i paduletti, le gore, le polle, gli stagni, le maremme, le chiare e fresche e dolci acque in cui mi son bagnato sin da fanciullo. Tutto questo potrei dirvi e altro ancora: gli eretici dell'Amiata e i flagellanti di Roccatederighi, la banda del Prete e gli ultimi briganti sovversivi, gli sterratori ammalati di malaria e i condannati ai lavori forzati, l'opera nazionale e il tribunale speciale, i malfattori renitenti e i refrattari impenitenti, i grassatori delinquenti, gli anarchisti animosi, faziosi furiosi e criminosi, la quercia di Garibaldi, il salto della Pia e quello del fosso di Gavorrano, quando a un contrasto in ottava rima si mette mano; e ancora vi direi dei "nostri padri etruschi" che si vergognerebbero di cotanta prole, della Bella Marsilia e beato chi se la piglia, del salto in padella del brigante Tiburzi venduto alla carta nel menù del giorno e dei cipressi di Bolgheri a fermentazione controllata con lieviti naturali, alti e schietti e in duplice filar.
Potrei dirvi di Guidoriccio da Fogliano all'assedio del castello di Montemassi, che s'incazza come un turco al pensiero di Cecco Angiolieri, mentre i turchi, quelli veri, insegnano al beato di Boccheggiano le beatitudini dell'ano. Che altro ancora? Vi dirò di transumanti e migranti, di disertori briganti, di occhi gialli e buzzi verdi, di malaria e fegato grosso, di chinino e acque cotte, di stagionanti svernanti cottimanti rampicanti pensionanti e militanti a cottimo, a minuto, a dettaglio e a tanto all'ora. Tutto questo potrei dirvi, e altro ancora... Ma mi fermo, per ora, al nome di Marchettini Domenico, detto il Ricciolo.
(Pagg. 45 e 46) Ci vuole gente come il signor Pierazzi, che il Mauri lo vedrebbe bene a fare il politico. Ma lui non sembra interessato alla politica, anzi, dice che per ora il suo unico programma è chiudere le sedi delle leghe contadine e sindacali, le case del popolo, i locali dei sindacati e dei partiti di sinistra, le tipografie, le cooperative e le società di mutuo soccorso. Che poi sono le organizzazioni del movimento operaio che il carabiniere Mauri deve continuamente tenere sotto controllo, come richiesto dal prefetto. In effetti questi squadristi in camicia nera ci appiccano direttamente il fuoco ai posti che i carabinieri devono tenere sott'occhio. A dire il vero, ha detto il Mauri al prefetto, bisognerebbe chiudere anche i municipi, dato che i comuni di questa zona, dopo le elezioni amministrative del 1920, sono quasi tutti in mano a giunte di bolscevichi. Il prefetto l'ha fissato con sguardo grave, poi ha strizzato l'occhio e gli ha detto: "Sarà fatto”.
E hanno cominciato. Sono partiti da Grosseto, per poi rastrellare paese dopo paese. Gli squadristi in camicia nera arrivano sui camion. Pestano un po' di gente, anche a caso: quanti ne trovano, tanti ne picchiano. Poi entrano in comune manganello alla mano, purgano il sindaco socialista e gli fanno firmare le dimissioni, che il prefetto accoglie volentieri. Dopo si infilano nelle case dei socialisti, e anche lì rastrellano mobili e vettovaglie e incendiano tutto sulla pubblica via. Saccheggiano i bar, distruggono le tipografie dei giornali rossi, le case del popolo, le camere del lavoro. Infine, ubriachi marci, spaccano un altro po' di teste, rubano quel che c'è da rubare e se ne vanno cantando Giovinezza e gridando viva l'Italia fascista.
E si fanno chiamare italianissimi e patrioti.
(Pagg. 101 e 102) Dopo 23 anni di schiavitù mi rivolgo a voi per avere giustizia di certi fatti successi a mio marito. Socialista di fede, costui era un ostacolo che i fascisti dovevano sopprimere per le loro brigantesche gesta. Non potendo trovare nulla nel suo modo di agire, quella stretta cerchia di lazzeroni cominciò col togliergli ogni lavoro, sperando di ridurlo in miseria. Un giorno lui disse al fascista Lorenzo Ferrari, allora segretario del fascio di Tatti, che Mussolini, come aveva tradito noi socialisti, domani avrebbe tradito loro fascisti. Fu per questo barbaramente bastonato. Questo fu l'inizio di una serie di soprusi e angherie che dovevano rovinare la vita di mio marito. Così, ci siamo trovati per anni nella più squallida miseria: senza lavoro, senza risorse, e avendo me e due figli da sostentare, la mia casa frugata di continuo, saccheggiata da squadre di fascisti e di carabinieri con la scusa di cercare bandiere, libri e quadri antifascisti. Lui insultato, spiato, perseguitato continuamente. Non aveva più pace, non potevamo più vivere.
Le perquisizioni continuavano incessantemente e il peggio si raggiunse quando mi trovarono in casa la fotografia di Matteotti. Fu terribile quel che ci fecero: mia figlia minore ne provò tanto spavento da avere il sangue travagliato e da allora non fu più la solita. Debole, malaticcia, impressionabile per un nonnulla, finché ne venni privata. Accuso i fascisti della sua morte: essi me l'hanno uccisa.
Dovemmo alla fine andare a vivere fuori da Tatti, in campagna, troppi ricordi tristi aveva quel paese per noi. Ma anche là mio marito era ormai incapace di lottare: avevano fiaccato il suo spirito, non era più che un relitto. Immaginate il mio strazio nel vederlo deperire di giorno in giorno. Me lo portarono infine all'ospedale di Massa Marittima che era agli estremi: e li morì.
Io adesso mi rivolgo a voi, del Comitato di liberazione nazionale, per avere giustizia. Essi non hanno avuto pietà di noi, ci hanno colpiti negli affetti più cari. Siate irremovibili.
Lettera al Comitato provinciale di liberazione nazionale di Michelina Caselli, Tatti, 1944
(Pag. 140) La tragedia non è cosa per poveri, pensavo un tempo. Ai poveri si addice la commedia. Ma la realtà è che anche il tragico si addice agli ultimi, quello che a loro manca è la retribuzione finale, la compensazione, la catarsi alla fine della novella nera.
Rimane almeno, adesso, il racconto, che forse è poca cosa, ma è meglio di niente.
venerdì 7 novembre 2025
Il tablet liquido
Un momento delle prove del concerto con Dario Brunori insieme all'Orchestra Multietnica di Arezzo, andato in scena tra lunedì 4 e martedì 5 sui palcoscenici del Teatro Verdi di Monte San Savino e del Teatro Comunale Mario Spina di Castiglion Fiorentino. "La vita liquida", parte per clarinetto basso, un brano che canta a suo modo Zygmunt Bauman e insieme quell'incertezza che ci rappresenta.
Nello scatto il momento in cui il tablet, incapace di cogliere metafore, ha preso il titolo della canzone alla lettera e s'è fatto liquido, pure lui. Troppo sensibile!
martedì 4 novembre 2025
Giornate resistenti
Ecco una giornata in cui sfogliare il quotidiano è di grande soddisfazione. Attraversato il disagio e il disastro delle faccende umane, il racconto della festa interminabile dell'ingiustizia che conta ospiti degni del carnevale dell'orrido e compiuta l'analisi del declino dell'etica e della morale, tra le pagine culturali del tuo territorio ecco che ti ritrovi in bella veste per due (anzi più) occasioni di resistenza all'imbarbarimento dell'incontro e del dialogo, continuando a immaginare, nonostante la palese impossibilità già mostrata in 50 pagine di scrittura fitta e di titoloni scoraggianti, un mondo migliore.
Oggi e domani, Orchestra Multietnica di Arezzo, I Benvegnù, Dario Brunori in: Culture contro la paura - Omaggio a Paolo Benvegnù. Eventi unici che non saranno ripetibili.
sabato 1 novembre 2025
Spaghetti all'assassina
Il mio Halloween è differente. Una padella, uno spicchio d'aglio, il peperoncino, l'olio, gli spaghetti, il pomodoro, un buon mestolo, un'ora di pazienza, un bicchiere di vino rosso.
Era da un po' che mi girava in testa (quest'assaggio me lo sono persino sognato), da quando mi sono appassionato a "Le indagini di Lolita Lobosco" (grazie Gabriella Genisi ma un grazie anche a Luisa Ranieri) - e poi, finalmente, con Luca Pappagallo mi è capitata tra le mani la ricetta. La trovate a p. 109 del volume "La cucina per tutti di Casa Pappagallo" (Vallardi).
Dovrò lavorarci ancora, soprattutto sulla bruciacchiatura (la foto non mente). Il gusto: eccellente.
Cercando in rete va detto che la ricetta di Casa Pappagallo differisce da quella dell'Accademia dell'Assassina, come reperibile sul sito de La Cucina Italiana: un'ottima occasione per avere una nuova opportunità di cimento! Grazie anche a Bari, sia scritto!
giovedì 30 ottobre 2025
Il mare d'autunno
Il mare d'autunno, quando lo vedi, t'invita sempre a un pensiero. Anche a due. A volte perfino a tre.
Le mie Pagine Allegre si sono arricchite oggi de "Il mare d'autunno". Con quel pizzico d'autunno che sa di foliage.
Il racconto/articolo è nato da una parte importante del mare in generale e del mare d'autunno (il mio mare d'autunno) in particolare: gli amici (che restano anche nel mare d'autunno, bisogna dirlo). Qui quelli di Officine della Cultura, compagni di un viaggio nel bel mezzo del mare d'autunno!
mercoledì 29 ottobre 2025
Il libraio di Gaza
Lascio un consiglio di lettura per questo tempo senza memoria come l'umanità che ne fa la storia. Il libraio di Gaza di Rachid Benzine (Corbaccio, 2025).
Qual è il crimine di Gaza? Qui, la pioggia non purifica, finisce per insudiciare di più, coprendo i vicoli di un fango denso, spietato. Cancellando i passi, dissolve le tracce dei vivi e dei morti, s'insinua nelle fessure dei muri e dei cuori, raffredda l'esile calore che vi si aggrappa. Ogni lacrima caduta dal cielo sembra portare l'oppressione di una tristezza troppo pesante per questo mondo. Eppure, nonostante tutto, questa pioggia si lascia sfuggire, talvolta, una bellezza scandalosa, proprio dove si attarda su un vetro incrinato. In questi fugaci bagliori, Gaza sembra un gioiello frantumato, ammaccato di miseria e di luce. Come se Dio stesso, colto da uno strano rimorso, tentasse di offrire un ultimo splendore prima dell'oscurità.
(Pagg. 115-118) Dai tempi di Jabaliya, aveva conservato una passione per il teatro, che sperava di poter trasmettere ad altri. Voleva promuovere i nostri ideali attraverso la scena e aveva creato una troupe amatoriale con i ragazzi delle tendopoli. Ne parlava come di un'urgenza, qualcosa di inderogabile.
Aprire la gente a tutte le culture, ecco cosa le stava a cuore. E così, sapeva allestire con la stessa bravura Il sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, o un'opera di Brecht o di lonesco. Molto tempo dopo, negli anni Novanta, con i suoi amici portò in scena un'opera di Wole Soyinka.
Voleva mostrare ai bambini che era possibile reinventare il mondo. Che i loro corpi potevano diventare linguaggio. Che potevano davvero essere dei re, degli eroi, dei pensatori, anche in mezzo alle macerie.
Era la loro regista, la loro guida in quel viaggio immaginario, nel quale il teatro era una forma di verità. Un modo per diventare se stessi impersonando qualcun altro. Per lei, l'arte poteva rivelare tutto, anche l'invisibile.
Ora che non c'è più, e il suo ricordo s'inabissa nella voragine della sua assenza, ogni giorno faccio l'inventario di tutto quello che lei è stata, stilando in questo taccuino logoro elenchi nei quali poi mi immergo per sentirla ancora ridere.
Hiam era:
- un vestito di cotone azzurro che indossava spesso;
- una cicatrice alla base del pollice destro;
- un modo di camminare, veloce, quasi frettoloso;
- un odore di sapone all'olio d'oliva;
- dita abili che cucivano lenzuola;
- risate;
- una canzone dei Sabreen, che lei canticchiava in cucina;
- il suo sguardo alla nascita di nostra figlia;
- il suo stetoscopio attorno al collo, e la sua camicetta.
E ora è un'assenza che si estende, che dilaga, che s'infila ovunque. Ho smesso di cercarla, mi lascio invadere da quello che ha lasciato: ricordi, frasi interrotte. Forse non è andata via. Forse è diventata il vuoto che mi circonda, quel profilo invisibile che dà forma alla mia quotidianità. E ogni volta che respiro, è il suo fiato che lei mi offre, come se la sua assenza fosse diventa ta il tessuto della mia vita. Lei non c'è più, ma continua a impregnare ogni cosa. Le ombre che scivolano sui muri al crepuscolo, il silenzio che riempie le mie notti da quando se n'è andata, il vento che soffia tra le case, le grida dei bambini che giocano. In fondo, non so se l'ho perduta o se sto trattenendola. Forse entrambe le cose.
Ma so che se continuerò a parlare di lei, a scrivere di lei, lei non potrà mai scomparire completamente. Credo che avesse ragione: io parlo troppo. E allora le chiedo di compatirmi, Julien, se non taccio e voglio farla rivivere per lei. E chiedo che anche lei possa perdonarmi. 'Noi siamo gli specchi infranti di coloro che ci hanno generato' ha scritto Jean Genet.
(Pag. 122) Non ho perdonato, ma so che esistono dei giusti. Che la pace impossibile è il dolore condiviso dei giusti da entrambe le parti.
(Pag. 126) La maggior parte dei libri che leggo e rileggo, li ho scoperti in carcere. Ognuno racconta almeno un anno della mia reclusione. E li rileggo sia per ricordare sia per comprenderli. Un grande libro è come un pozzo senza fondo. Enigmi irrisolti, e dietro la storia, un punto cieco. E a volerlo illuminare ci si perde, bisogna invece prenderlo per quello che è: la benedizione di un mistero. Capisce? Sono sicuro di sì. I libri che si amano sono quelli che non si sono compresi, o che si credeva di aver compreso ma poi, rileggendoli, si scopre che avevano un altro senso, un'altra sfaccettatura, una parte inesplorata.
(Pagg. 128-131) Spesso invisibili, vivi o morti, i tuoi genitori ti accompagnano in ogni istante della tua esistenza, senza che tu te ne renda conto. Come una prova, come un rimpianto che porterai dentro di te per tutta la vita. Non si guarisce dalla loro assenza.
Si muore ogni giorno un po' di più. I miei erano e saranno sempre una fonte dalla quale traggo la forza di risollevarmi. Mio padre era il silenzio, mia madre il rumore. E io li guardavo, ascoltavo, imprimevo nella mia mente. C'era in loro quella specie di malinconia, simile alla saudade di Fernando Pessoa. Dal loro cuore appesantito dagli anni, dalle perdite e dai sacrifici, la lezione delle tenebre arrivava ormai soltanto per accenni.
Con il passare del tempo, mio padre era diventato curvo. Reggeva il peso invisibile di tante battaglie perdute. Il suo volto segnato dal sole, dal vento e dalle onde era soltanto un paesaggio di ombre. Le sue rughe profonde tracciavano percorsi verso una memoria che non si raccontava più da tanto tempo. Spesso i suoi occhi sembravano guardare oltre il visibile, come se cercasse qualcosa che nessun altro poteva vedere: un ricordo precedente l'esilio, una promessa lontana. Forse una giustizia divina. Non voleva più saperne di parole inutili, di gesti superflui. Ogni cosa che faceva aveva uno scopo preciso: riparare una porta che non si chiudeva più, rinforzare un muro che minacciava di crollare, piantare un albero che rischiava di non sopravvivere al bombardamento successivo, ma piantarlo ugualmente. Tutto in lui era azione, necessità. Era metodico, quasi ossessionato dai dettagli. La mattina si lisciava i capelli con l'acqua, un gesto automatico, che ripeteva da decenni. Quando si infilava i sandali, li sistemava con cura.
Trovava il modo di dirci che ci amava. Lo capivamo dal suo alzarsi prima dell'alba per farci trovare un po' di calore, dai suoi incoraggiamenti ripetuti per vederci studiare, crescere, partire. Fu questo linguaggio a insegnarmi l'amore. È quello che si riesce a udire nei silenzi.
Mia madre era spesso sull'orlo dell'esplosione, ma quel vulcano era avvolto dalla dolcezza. Moto perpetuo, era sempre in piedi, sempre indaffarata. Piegava e dispiegava gli stessi panni, asciugava mille volte le medesime stoviglie, come se l'attività potesse scongiurare la stanchezza, l'attesa. Anche quando faceva cuocere il pane su una piastra in mezzo alle braci, doveva girarlo e rigirarlo in continuazione. Era la custode di un fuoco ancestrale, che riscaldava l'anima, oltre al corpo. Un po' magica come tutte le madri, aveva quella strana capacità di riempire una stanza, anche quando non c'era. A volte canticchiava, una melopea che si elevava come un'orazione nell'aria densa di polvere. Era un canto senza parole, né salmodia coranica, sé canzone profana. Forse un'eco della sua infanzia.
Di quando le loro terre erano ancora fertili e libere.
Molti ricordi precisi che ho dei miei genitori li devo a Hafez che, dopo la loro morte, scrisse pazientemente tutto quello che sapeva di loro in due quaderni diversi.
Poi me li consegnò. Parole per esprimere la sua attenzione e il suo amore. Tutti quei dettagli che a me erano sfuggiti.
(Pag. 136) Da sessantasei anni viviamo questa lotta, non abbiamo conosciuto altro, e siamo ancora qui. Fantasmi, ogni giorno un po più invisibili agli altri. E a noi stessi. Come lo siamo da sempre agli occhi del mondo.
lunedì 27 ottobre 2025
Bebelplatz
Muffin di mais
Da Geffrey Deaver, La mano dell'orologiaio, Rizzoli (2024).
(Pag. 97) Arrivò un enorme muffin di mais. Pulaski ricordò che, secondo Sellitto, i muffin di mais non facevano troppo male perché non avevano lo zucchero come quelli al mirtillo. E il mais era nutriente. Pulaski non ne sapeva abbastanza per dissentire o convenire. E poi, perché farlo? A tutti piacevano i muffin di mais.
sabato 25 ottobre 2025
domenica 19 ottobre 2025
sabato 18 ottobre 2025
Comici spaventati guerrieri
Tratterrò per me tre punti.
Il primo mi ricorda quegli stessi anni. Tenevo pur io la cartamoneta da cinquecento lire per comprare il cono gelato. Ed ora, nel 2025, ho lo stesso pensiero sul tempo. La citazione è a pag. 86 dell’edizione 2023 di Feltrinelli.
Lucio decise di seguire l’indicazione del velocipede, e brandendo una cartamoneta da cinquecento entrò nella locanda sormontata dalla parola luminosa “Ice cream”. Subito vide che le cinquecento lire non avrebbero potuto comprare neanche un sospiro di mirtillo.
Nulla rende l’idea del tempo passato
Quanto il crescer del prezzo del gelato.
La seconda è un canto senza respiro. Un monologo di quegli anni che è rimasto appeso al muro come un dipinto a colori in stile Ulisse di Joyce. È da pag. 93 a pag. 96.
Lee inizia a parlare, uno di quei fuochi di artificio che lei ben conosce. Devo trovare un uomo. Si chiama Coccodrillo. Spaccia. O forse non è lui. Sai se Leone si bucava? Tu dici di no, ma spesso non si dice neanche a chi ti sta vicino. No, hai ragione tu, Leone non era il tipo. Però cosa faceva li a Bessico? C'è quel tipo, Federico, un fascista ripulito, l'ho preso da parte, mi ha spiegato le virtù di quel palazzo. Ho imparato a imitarli sai, a volte cammino e parlo come loro, sento quello che pensano, non ci credi? Mi hanno portato via i miei libri, certi vanno bene altri no, dicono, proprio come in carcere, e anche sei punture di Zerol mi fanno e io mi alzo e corro via e loro ci restano di merda, il dottore ha detto, questo è come se c'avesse dentro un'altra chimica, ed è vero, non guardarmi così: è la scienza che lo dice, tutte le volte che guardi più profondamente una cosa, trovi nuovo disordine, nuove particelle, figure nella polvere e tutto quello che sapevi di quella cosa salterà in aria. Hai mai visto i matti guardare sempre nello stesso punto? Tu non sai cosa possono vedere e non sai perché resto sveglio e non voglio salvarmi ad ogni costo, non guardarmi così. Una volta ci
somigliavamo, eravamo tre note di un accordo, leone Cina e zingara, ma poi c’è un punto in cui i fili si rompono e gli altri si allontanano. Ma i bastardi li vedo bene sì, quelli sono ancora al loro posto pazzi di rabbia perché per una volta li abbiamo smascherati, e non ce la perdoneranno mai nei secoli dei secoli e allora è guerra, non farmi i tuoi discorsi miti, la mitezza è un privilegio grande ma il dolore la avvelena in un attimo, io esco da quella galera e la città è peggio che mai, la gente cade per terra, parla da sola, vomita e crepa e tutti passano e non hanno visto niente, e si affrettano a dare nuovi eleganti nomi alla loro corruzione, e ogni tanto parlano dell'uomo comune, ipocriti, l'uomo comune che vi piace è stupido e avido come voi, così lo vorreste, un vigliacco che può ammazzare per vigliaccheria, mentre loro ammazzano per necessità, per i loro divini soldi, Lucia, sono loro ora gli estremisti, violenti assassini estremisti dell'ideologia più ideologia del secolo, un'economia più sacra di una religione, più feroce di un esercito, ricordando bene con un brivido quando tutto salterà in aria, quando s oscurerà, malattia senza sintomi, caos di geroglifico incomprensibile e voi sempre più crudeli informati impotenti in mezzo alla strada, e chi raccoglierà i frammenti allora gli oggetti i rottami, magari ci fosse qualcuno, magari ci sarà davvero Lucia, questa è la speranza e intanto brucio e non c’è nessun patto da firmare né col diavolo né con la rassegnazione, Lucia, siamo un'altra cosa da sempre fortunatamente e non guardarmi così no, non ho finito, te lo dico io chi ha ucciso Leone, forse uno di questi che una volta facevano i compagni e hanno spacciato per anni e dicevano che erano i fascisti, col cazzo, vieni con me a vedere chi sono, oppure hai paura, scusami non venirci, son posti schifosi ci nuota il coatto si dice adesso, come suona bene, peccato che tutti i compagni non siano come te Lucia, vieni a vedere questo Coccodrillo spia della polizia, me l'ha venduta tante volte la roba e quando ho smesso me la lasciava gratis sul sedile della macchina, generoso, vero? Come quelli che ti lasciavano l'esplosivo in casa e dicevano ognuno deve fare la sua parte, eppure c'è chi mi ha salvato tante volte, parlato, anche tu Lucia, e ci sarà alla fine una verità Lucia e scopriremo la verità giù nell'acqua e su fino al più altissimo porço non ci credi? dimmi di sì, io brucio dentro questa storia e non ne vedrò la fine, ma scopriremo la verità, perché se c'è solo un po' di verità c'è speranza e chi l'ha fatta brillare ha fatto abbastanza e non importa se poi non si salverà, salvarsi per avere cosa, questo mondo dove continuano a insultare chi è debole, Lucia, se penso a tutte le persone pulite che ho incontrato e continuano a offenderle Lucia, le uccidono, non ci sono parole per questo delitto, non si può sopportare tutto questo capisci Lucia quando sono nella mia stanza e qualcuno urla anche con gli occhi si può urlare Lucia, Lucia mi chiedo, che cosa è successo, perché fingete di non vedere, vorrei capire qualche volta Lucia, ma sapessi che musica nella testa, negli oggetti consumati, e dopo quanto veleno ti senti addosso Lucia, e allora pensa se non fosse così, se non ci credessi più, se tossi perbene Lucia saremmo una coppia normale, io e te, al ritorno dal cinema andremmo a casa e non saremmo perduti in una città di notte, ma quelli perbene forse sono perduti lo stesso Lucia, ma se almeno ascoltassero, se capissero che l'altra metà di verità per quanto si può raccontare solo urlando è l'altra metà necessaria, Don si può togliere via non si può dimenticare, alla fine solo il dolore esiste come esisto io, un matto per strada, un matto è una persona che non sa dove andare, niente di più Lucia, tu puoi capire, tu che sei benedetta tra le donne, tu che mi hai visto felice, tu che sei coraggiosa tu che a volte mi hai lasciato solo come un cane tu che adesso per favore scendi non guardarmi ti dico, questo è un sentiero per comici spaventati guerrieri e io non voglio né vincere né perdere solo che tu mi ricordi e dopo che mi anneghino nello zero di quelle medicine e mi chiamino come vogliono e tornino a raccontare le loro storie, non sono vere, manca metà, tu lo capisci cara, almeno tu e allora scendi per favore.
"Vengo con te," disse Lucia.
La terza perché a quasi quarant’anni di distanza tutti dicono “che sporca cosa è la guerra” ma pensano ancora che è bella ed eccitante. Anzi, qualcuno, senza memoria, ha smesso di pensarlo ed ha perfino iniziato a dirlo. Da pag. 98 a pag. 99.
Ridiscendiamo al primo piano. Sandri guarda un film di guerra e gli piace, è uno di quei film dove tutti dicono "che sporca cosa è la guerra" ma si capisce che invece il regista pensa che è bella ed eccitante. È così rassicurante pensare che per mille coglioni che parlano contro la guerra ne basta uno fidato che metta un po’ di tritolo nel posto giusto per raccendere tutto, come il gas. Sandri guarda la sua collezione di pistole e la trova più bella e fatale di qualsiasi collezione di pipe. Dopo il film c'è un dibattito con un intellettuale pacifisso. Stronzi. Abbiamo letto anche noi, cosa credete? L'Iliade è un libro sull'ira, l'Odissea sull'incazzatura di un dio vendicativo e l'Eneide un massacro e l’Orlando è furioso e la Gerusalemme mica la liberano col carro attrezzi e Shakespeare finisce sempre a spadate e Don Chisciotte non l'ho letto ma se è Don sarà tipo "il padrino" con sangue e mitragliate. Si guarda allo specchio, gonfia il torace, si trova niente male. Non come Rambo, ma non importa. I Rambi passano, i Sandri restano.
Favole dell'abbandono: La scarpina
Per chi ha voglia di una favoletta di primo mattino c'è "La scarpina" su lortica.it della serie Favole dell'abbandono. Perché quando uno si sveglia troppo presto per qualsiasi cosa l'unica cosa da fare è immaginare.
giovedì 16 ottobre 2025
L'ultimo segreto per un mondo migliore
“L’ultimo segreto” (Rizzoli) è finito in libreria ma voglio qui conservare queste poche parole così legate al nostro tempo. Per i curiosi stanno alle pagine 760-762 e non consiglio di arrivarci senza leggere quelle che le precedono.
«A quanto emerso, però» spiegò Katherine, «l'attacco e la fuga non sono le uniche reazioni del cervello alla paura della morte. Esiste una risposta più graduale, che si consolida nel corso degli anni quando sentiamo che il mondo non è più un luogo sicuro. Uno scenario che ormai riguarda molte persone.»
«È una paura razionale» commentò Nagel.
«Ogni giorno siamo esposti a un bombardamento mediatico che ci ricorda come l'ambiente sia in pericolo e siano sempre più concrete le minacce di una guerra nucleare, di pandemie incombenti, di genocidi e delle altre infinite atrocità compiute sul nostro pianeta. Tutte queste informazioni innescano nel cervello una strategia di gestione del terrore che lavora in background: non attiva la modalità di attacco o fuga, ma ci predispone al peggio. In sostanza, più il mondo diventa terrificante più tempo trascorriamo a prepararci inconsciamente alla morte.»
Nagel non era sicura di aver capito dove stesse andando a parare il discorso. «Prepararci alla morte... come?»
«Credo che la risposta la sorprenderà. Di certo ha sorpreso me. Mentre facevo delle ricerche sul cervello e la salienza della mortalità, ho scoperto che la paura crescente della morte causa un'importante serie di risposte comportamentali. Tutte egoistiche.»
«Scusi?»
«La paura ci rende egoisti» chiari Katherine. «Più temiamo la morte, più ci aggrappiamo a noi stessi, ai nostri averi, ai nostri spazi sicuri... a ciò che ci è familiare. Mostriamo una maggior propensione al nazionalismo, al razzismo e all'intolleranza religiosa. Ci facciamo beffe dell'autorità, ignoriamo le convenzioni sociali, rubiamo agli altri cosi da accumulare per noi e diventiamo più materialisti. Abbandoniamo persino il nostro senso di responsabilità ambientale, perché pensiamo che il pianeta sia una causa persa e che siamo comunque condannati.»
«Uno scenario allarmante» concordò Nagel. «Sono proprio questi comportamenti che alimentano le tensioni globali, il terrorismo, i divari culturali e le guerre.»
«Sì. […] Purtroppo si innesca un circolo vizioso: più la situazione peggiora, peggio ci comportiamo. E peggio ci comportiamo, più la situazione peggiora.»
«E secondo la sua teoria questa spirale preoccupante deriva dalla paura che l'uomo ha della morte?»
«Non è una mia teoria» replicò Katherine. «È dimostrata scientificamente da una montagna di prove statistiche raccolte attraverso analisi osservazionali, esperimenti comportamentali e sondaggi demoscopici. Il punto più rilevante, però, è il comportamento mostrato da chi, per qualsiasi ragione, non teme la morte: più benevolo, più aperto al prossimo, più collaborativo, più rispettoso dell'ambiente. Questo significa che, se riuscissimo a liberarci la mente dal terrore della morte...»
«Ci ritroveremmo a vivere in un mondo migliore.»





































