venerdì 7 novembre 2025

Il tablet liquido

Un momento delle prove del concerto con Dario Brunori insieme all'Orchestra Multietnica di Arezzo, andato in scena tra lunedì 4 e martedì 5 sui palcoscenici del Teatro Verdi di Monte San Savino e del Teatro Comunale Mario Spina di Castiglion Fiorentino. "La vita liquida", parte per clarinetto basso, un brano che canta a suo modo Zygmunt Bauman e insieme quell'incertezza che ci rappresenta. 
Nello scatto il momento in cui il tablet, incapace di cogliere metafore, ha preso il titolo della canzone alla lettera e s'è fatto liquido, pure lui. Troppo sensibile!

martedì 4 novembre 2025

Giornate resistenti

Ecco una giornata in cui sfogliare il quotidiano è di grande soddisfazione. Attraversato il disagio e il disastro delle faccende umane, il racconto della festa interminabile dell'ingiustizia che conta ospiti degni del carnevale dell'orrido e compiuta l'analisi del declino dell'etica e della morale, tra le pagine culturali del tuo territorio ecco che ti ritrovi in bella veste per due (anzi più) occasioni di resistenza all'imbarbarimento dell'incontro e del dialogo, continuando a immaginare, nonostante la palese impossibilità già mostrata in 50 pagine di scrittura fitta e di titoloni scoraggianti, un mondo migliore.

Oggi e domani, Orchestra Multietnica di Arezzo, I Benvegnù, Dario Brunori in: Culture contro la paura - Omaggio a Paolo Benvegnù. Eventi unici che non saranno ripetibili.


Da mercoledì 12 novembre al via la tournée 2025/26 di "Matteotti - Anatomia di un fascismo" di Stefano Massini con Ottavia Piccolo e I Solisti dell'Orchestra Multietnica di Arezzo. Tante e belle occasioni d'incontro! 

sabato 1 novembre 2025

Spaghetti all'assassina

Il mio Halloween è differente. Una padella, uno spicchio d'aglio, il peperoncino, l'olio, gli spaghetti, il pomodoro, un buon mestolo, un'ora di pazienza, un bicchiere di vino rosso. 
Era da un po' che mi girava in testa (quest'assaggio me lo sono persino sognato), da quando mi sono appassionato a "Le indagini di Lolita Lobosco" (grazie Gabriella Genisi ma un grazie anche a Luisa Ranieri) - e poi, finalmente, con Luca Pappagallo mi è capitata tra le mani la ricetta. La trovate a p. 109 del volume "La cucina per tutti di Casa Pappagallo" (Vallardi). 
Dovrò lavorarci ancora, soprattutto sulla bruciacchiatura (la foto non mente). Il gusto: eccellente. 
Cercando in rete va detto che la ricetta di Casa Pappagallo differisce da quella dell'Accademia dell'Assassina, come reperibile sul sito de La Cucina Italiana: un'ottima occasione per avere una nuova opportunità di cimento! Grazie anche a Bari, sia scritto!

giovedì 30 ottobre 2025

Il mare d'autunno

Il mare d'autunno, quando lo vedi, t'invita sempre a un pensiero. Anche a due. A volte perfino a tre. 
Le mie Pagine Allegre si sono arricchite oggi de "Il mare d'autunno". Con quel pizzico d'autunno che sa di foliage.

Il racconto/articolo è nato da una parte importante del mare in generale e del mare d'autunno (il mio mare d'autunno) in particolare: gli amici (che restano anche nel mare d'autunno, bisogna dirlo). Qui quelli di Officine della Cultura, compagni di un viaggio nel bel mezzo del mare d'autunno!


mercoledì 29 ottobre 2025

Favole dell'abbandono: Un pezzo d'armadio

In questa favola c'è di mezzo un pezzo d'armadio ma anche un materasso: buona notte!

Il libraio di Gaza

Lascio un consiglio di lettura per questo tempo senza memoria come l'umanità che ne fa la storia. Il libraio di Gaza di Rachid Benzine (Corbaccio, 2025). 

(Pag. 27) Io però li aspetto. Aspetto tutti i miei lettori. Immaginari o reali, non ha importanza. Non sono solo. Le parole dei libri lacerano tutti i silenzi. Si impongono. Il lettore è un prigioniero consenziente, aggrappato all'illusione che a ogni pagina che volterà sarà più libero. E invece si perde sempre di più, viene assorbito, fino a diventare incapace di districarsi in questo labirinto di parole. Eppure, proprio questo supplizio che mi sono scelto mi ricorda perché sono qui, in questa bottega, ad aspettare. In tutti i casi, a Gaza si aspetta sempre qualcosa. Tutti aspettano qualcosa. 

(Pagg. 110 e 111) La mattina dopo, le ombre delle rovine si allungano come spettri mentre piovono goccioloni sulla città. S'infrangono senza pudore sulle lamiere arrugginite e risuonano come preghiere mancate. Le nuvole si accumulano, scure e gonfie di rancore.
Qual è il crimine di Gaza? Qui, la pioggia non purifica, finisce per insudiciare di più, coprendo i vicoli di un fango denso, spietato. Cancellando i passi, dissolve le tracce dei vivi e dei morti, s'insinua nelle fessure dei muri e dei cuori, raffredda l'esile calore che vi si aggrappa. Ogni lacrima caduta dal cielo sembra portare l'oppressione di una tristezza troppo pesante per questo mondo. Eppure, nonostante tutto, questa pioggia si lascia sfuggire, talvolta, una bellezza scandalosa, proprio dove si attarda su un vetro incrinato. In questi fugaci bagliori, Gaza sembra un gioiello frantumato, ammaccato di miseria e di luce. Come se Dio stesso, colto da uno strano rimorso, tentasse di offrire un ultimo splendore prima dell'oscurità.  

(Pag. 113) È più facile parlare degli orrori del mondo che della bellezza delle cose. Non ci crede? Come esprimere la meraviglia davanti a un neonato? Come essere all'altezza della grazia e della tenerezza di un bambino che si sveglia? Come ritornare su quello che ci è passato davanti, i giorni e le notti, la gioia nell'oppressione, la felicità del nostro focolare? Non lo so, ora che tutto è scomparso. Ora che la sabbia si è dissolta. Qualcuno ha scritto, un giorno, che si riconosce la felicità dal rumore che fa andandosene.

(Pagg. 115-118) Dai tempi di Jabaliya, aveva conservato una passione per il teatro, che sperava di poter trasmettere ad altri. Voleva promuovere i nostri ideali attraverso la scena e aveva creato una troupe amatoriale con i ragazzi delle tendopoli. Ne parlava come di un'urgenza, qualcosa di inderogabile.
Aprire la gente a tutte le culture, ecco cosa le stava a cuore. E così, sapeva allestire con la stessa bravura Il sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, o un'opera di Brecht o di lonesco. Molto tempo dopo, negli anni Novanta, con i suoi amici portò in scena un'opera di Wole Soyinka.
Voleva mostrare ai bambini che era possibile reinventare il mondo. Che i loro corpi potevano diventare linguaggio. Che potevano davvero essere dei re, degli eroi, dei pensatori, anche in mezzo alle macerie.
Era la loro regista, la loro guida in quel viaggio immaginario, nel quale il teatro era una forma di verità. Un modo per diventare se stessi impersonando qualcun altro. Per lei, l'arte poteva rivelare tutto, anche l'invisibile.
Ora che non c'è più, e il suo ricordo s'inabissa nella voragine della sua assenza, ogni giorno faccio l'inventario di tutto quello che lei è stata, stilando in questo taccuino logoro elenchi nei quali poi mi immergo per sentirla ancora ridere.
Hiam era:
-   un vestito di cotone azzurro che indossava spesso;
-   una cicatrice alla base del pollice destro;
-   un modo di camminare, veloce, quasi frettoloso;
-   un odore di sapone all'olio d'oliva;
-   dita abili che cucivano lenzuola;
-   risate;
-   una canzone dei Sabreen, che lei canticchiava in cucina;
-   il suo sguardo alla nascita di nostra figlia;
-   il suo stetoscopio attorno al collo, e la sua camicetta.
E ora è un'assenza che si estende, che dilaga, che s'infila ovunque. Ho smesso di cercarla, mi lascio invadere da quello che ha lasciato: ricordi, frasi interrotte. Forse non è andata via. Forse è diventata il vuoto che mi circonda, quel profilo invisibile che dà forma alla mia quotidianità. E ogni volta che respiro, è il suo fiato che lei mi offre, come se la sua assenza fosse diventa ta il tessuto della mia vita. Lei non c'è più, ma continua a impregnare ogni cosa. Le ombre che scivolano sui muri al crepuscolo, il silenzio che riempie le mie notti da quando se n'è andata, il vento che soffia tra le case, le grida dei bambini che giocano. In fondo, non so se l'ho perduta o se sto trattenendola. Forse entrambe le cose.
Ma so che se continuerò a parlare di lei, a scrivere di lei, lei non potrà mai scomparire completamente. Credo che avesse ragione: io parlo troppo. E allora le chiedo di compatirmi, Julien, se non taccio e voglio farla rivivere per lei. E chiedo che anche lei possa perdonarmi. 'Noi siamo gli specchi infranti di coloro che ci hanno generato' ha scritto Jean Genet.

(Pag. 122) Non ho perdonato, ma so che esistono dei giusti. Che la pace impossibile è il dolore condiviso dei giusti da entrambe le parti.

(Pag. 126) La maggior parte dei libri che leggo e rileggo, li ho scoperti in carcere. Ognuno racconta almeno un anno della mia reclusione. E li rileggo sia per ricordare sia per comprenderli. Un grande libro è come un pozzo senza fondo. Enigmi irrisolti, e dietro la storia, un punto cieco. E a volerlo illuminare ci si perde, bisogna invece prenderlo per quello che è: la benedizione di un mistero. Capisce? Sono sicuro di sì. I libri che si amano sono quelli che non si sono compresi, o che si credeva di aver compreso ma poi, rileggendoli, si scopre che avevano un altro senso, un'altra sfaccettatura, una parte inesplorata.

(Pagg. 128-131) Spesso invisibili, vivi o morti, i tuoi genitori ti accompagnano in ogni istante della tua esistenza, senza che tu te ne renda conto. Come una prova, come un rimpianto che porterai dentro di te per tutta la vita. Non si guarisce dalla loro assenza.
Si muore ogni giorno un po' di più. I miei erano e saranno sempre una fonte dalla quale traggo la forza di risollevarmi. Mio padre era il silenzio, mia madre il rumore. E io li guardavo, ascoltavo, imprimevo nella mia mente. C'era in loro quella specie di malinconia, simile alla saudade di Fernando Pessoa. Dal loro cuore appesantito dagli anni, dalle perdite e dai sacrifici, la lezione delle tenebre arrivava ormai soltanto per accenni.
Con il passare del tempo, mio padre era diventato curvo. Reggeva il peso invisibile di tante battaglie perdute. Il suo volto segnato dal sole, dal vento e dalle onde era soltanto un paesaggio di ombre. Le sue rughe profonde tracciavano percorsi verso una memoria che non si raccontava più da tanto tempo. Spesso i suoi occhi sembravano guardare oltre il visibile, come se cercasse qualcosa che nessun altro poteva vedere: un ricordo precedente l'esilio, una promessa lontana. Forse una giustizia divina. Non voleva più saperne di parole inutili, di gesti superflui. Ogni cosa che faceva aveva uno scopo preciso: riparare una porta che non si chiudeva più, rinforzare un muro che minacciava di crollare, piantare un albero che rischiava di non sopravvivere al bombardamento successivo, ma piantarlo ugualmente. Tutto in lui era azione, necessità. Era metodico, quasi ossessionato dai dettagli. La mattina si lisciava i capelli con l'acqua, un gesto automatico, che ripeteva da decenni. Quando si infilava i sandali, li sistemava con cura.
Trovava il modo di dirci che ci amava. Lo capivamo dal suo alzarsi prima dell'alba per farci trovare un po' di calore, dai suoi incoraggiamenti ripetuti per vederci studiare, crescere, partire. Fu questo linguaggio a insegnarmi l'amore. È quello che si riesce a udire nei silenzi.
Mia madre era spesso sull'orlo dell'esplosione, ma quel vulcano era avvolto dalla dolcezza. Moto perpetuo, era sempre in piedi, sempre indaffarata. Piegava e dispiegava gli stessi panni, asciugava mille volte le medesime stoviglie, come se l'attività potesse scongiurare la stanchezza, l'attesa. Anche quando faceva cuocere il pane su una piastra in mezzo alle braci, doveva girarlo e rigirarlo in continuazione. Era la custode di un fuoco ancestrale, che riscaldava l'anima, oltre al corpo. Un po' magica come tutte le madri, aveva quella strana capacità di riempire una stanza, anche quando non c'era. A volte canticchiava, una melopea che si elevava come un'orazione nell'aria densa di polvere. Era un canto senza parole, né salmodia coranica, sé canzone profana. Forse un'eco della sua infanzia.
Di quando le loro terre erano ancora fertili e libere.
Molti ricordi precisi che ho dei miei genitori li devo a Hafez che, dopo la loro morte, scrisse pazientemente tutto quello che sapeva di loro in due quaderni diversi.
Poi me li consegnò. Parole per esprimere la sua attenzione e il suo amore. Tutti quei dettagli che a me erano sfuggiti.

(Pag. 136) Da sessantasei anni viviamo questa lotta, non abbiamo conosciuto altro, e siamo ancora qui. Fantasmi, ogni giorno un po più invisibili agli altri. E a noi stessi. Come lo siamo da sempre agli occhi del mondo.

Il tempo

Il tempo, 
su di me, 
ha bruciato sogni
e lasciato segni.

lunedì 27 ottobre 2025

Bebelplatz

Bebelplatz. La notte dei libri bruciati, di Fabio Stassi (Sellerio, 2024). Un viaggio da compiere, necessario. La ricerca dei tempi, delle ragioni, dei nomi. Ne terrò traccia in due piccoli punti.

A dispetto di una lunga e duratura pace, la follia della guerra aveva continuato a crepitare anche in Europa, sotto le braci: era divampata sanguinosamente in Jugoslavia, alla fine dello scorso secolo, si era riaffacciata nel Donbass e avrebbe di nuovo infiammato la Palestina di lì a poco. Il fragore minaccioso di nuovi bombardamenti rendeva molto più percepibile il ricordo di tutte le distruzioni che li avevano preceduti. Se gli uomini fossero delle conchiglie, mi aveva detto mia madre, quand'ero bambino, sarebbe questo il solo suono che tratterrebbero per sempre.
L'allarme di una sirena, lo scalpitio affannoso sulle scale di un ricovero sotterraneo, l'eco di un'esplosione interminabile. Chi lo ha sentito una volta, nella vita, non la dimentica più.

«Non dimentichiamo - ha ribadito recentemente lo scrittore svedese Björn Larsson - che gli stermini e i genocidi sono sempre stati proceduti dalla deumanizzazione delle vittime designate».
Il punto da fissare e definire era questo, quindi: in quale momento si perde il diritto a stare dentro la legge. Lo avevano detto in tanti, ma mi sembrava di non averlo mai compreso fino in fondo: se al nemico non si riconosce nessuna dignità, non è più qualcosa di opposto ma ancora simile, il cui contrasto può essere regolato da un insieme di regole: esce totalmente dalla sfera umana. Di conseguenza, il conflitto si trasforma in uno scontro tra una ipotetica civiltà e una ipotetica barbarie, e svincola qualsiasi azione bellica da ogni sistema disciplinato di principi e ordinamenti. Così anche un crimine, persino il peggiore dei crimini, un genocidio pianificato a livello industriale attraverso una impersonale catena di montaggio, smette di essere considerato tale da chi lo commette […].

Muffin di mais

Devo cucinare i muffin di mais! 

Da Geffrey Deaver, La mano dell'orologiaio, Rizzoli (2024).

(Pag. 97) Arrivò un enorme muffin di mais. Pulaski ricordò che, secondo Sellitto, i muffin di mais non facevano troppo male perché non avevano lo zucchero come quelli al mirtillo. E il mais era nutriente. Pulaski non ne sapeva abbastanza per dissentire o convenire. E poi, perché farlo? A tutti piacevano i muffin di mais.

sabato 18 ottobre 2025

Comici spaventati guerrieri

Mi sono imbattuto in “Comici spaventati guerrieri” di Stefano Benni di un lontano anno 1986. Che linguaggio arduo. Che anni difficili, sembravano. E forse lo erano e lo sappiano noi oggi che lì nasceva il disagio di questo nostro esistere.
Tratterrò per me tre punti.

Il primo mi ricorda quegli stessi anni. Tenevo pur io la cartamoneta da cinquecento lire per comprare il cono gelato. Ed ora, nel 2025, ho lo stesso pensiero sul tempo. La citazione è a pag. 86 dell’edizione 2023 di Feltrinelli.

Lucio decise di seguire l’indicazione del velocipede, e brandendo una cartamoneta da cinquecento entrò nella locanda sormontata dalla parola luminosa “Ice cream”. Subito vide che le cinquecento lire non avrebbero potuto comprare neanche un sospiro di mirtillo.
Nulla rende l’idea del tempo passato
Quanto il crescer del prezzo del gelato.

La seconda è un canto senza respiro. Un monologo di quegli anni che è rimasto appeso al muro come un dipinto a colori in stile Ulisse di Joyce. È da pag. 93 a pag. 96.

Lee inizia a parlare, uno di quei fuochi di artificio che lei ben conosce. Devo trovare un uomo. Si chiama Coccodrillo. Spaccia. O forse non è lui. Sai se Leone si bucava? Tu dici di no, ma spesso non si dice neanche a chi ti sta vicino. No, hai ragione tu, Leone non era il tipo. Però cosa faceva li a Bessico? C'è quel tipo, Federico, un fascista ripulito, l'ho preso da parte, mi ha spiegato le virtù di quel palazzo. Ho imparato a imitarli sai, a volte cammino e parlo come loro, sento quello che pensano, non ci credi? Mi hanno portato via i miei libri, certi vanno bene altri no, dicono, proprio come in carcere, e anche sei punture di Zerol mi fanno e io mi alzo e corro via e loro ci restano di merda, il dottore ha detto, questo è come se c'avesse dentro un'altra chimica, ed è vero, non guardarmi così: è la scienza che lo dice, tutte le volte che guardi più profondamente una cosa, trovi nuovo disordine, nuove particelle, figure nella polvere e tutto quello che sapevi di quella cosa salterà in aria. Hai mai visto i matti guardare sempre nello stesso punto? Tu non sai cosa possono vedere e non sai perché resto sveglio e non voglio salvarmi ad ogni costo, non guardarmi così. Una volta ci
somigliavamo, eravamo tre note di un accordo, leone Cina e zingara, ma poi c’è un punto in cui i fili si rompono e gli altri si allontanano. Ma i bastardi li vedo bene sì, quelli sono ancora al loro posto pazzi di rabbia perché per una volta li abbiamo smascherati, e non ce la perdoneranno mai nei secoli dei secoli e allora è guerra, non farmi i tuoi discorsi miti, la mitezza è un privilegio grande ma il dolore la avvelena in un attimo, io esco da quella galera e la città è peggio che mai, la gente cade per terra, parla da sola, vomita e crepa e tutti passano e non hanno visto niente, e si affrettano a dare nuovi eleganti nomi alla loro corruzione, e ogni tanto parlano dell'uomo comune, ipocriti, l'uomo comune che vi piace è stupido e avido come voi, così lo vorreste, un vigliacco che può ammazzare per vigliaccheria, mentre loro ammazzano per necessità, per i loro divini soldi, Lucia, sono loro ora gli estremisti, violenti assassini estremisti dell'ideologia più ideologia del secolo, un'economia più sacra di una religione, più feroce di un esercito, ricordando bene con un brivido quando tutto salterà in aria, quando s oscurerà, malattia senza sintomi, caos di geroglifico incomprensibile e voi sempre più crudeli informati impotenti in mezzo alla strada, e chi raccoglierà i frammenti allora gli oggetti i rottami, magari ci fosse qualcuno, magari ci sarà davvero Lucia, questa è la speranza e intanto brucio e non c’è nessun patto da firmare né col diavolo né con la rassegnazione, Lucia, siamo un'altra cosa da sempre fortunatamente e non guardarmi così no, non ho finito, te lo dico io chi ha ucciso Leone, forse uno di questi che una volta facevano i compagni e hanno spacciato per anni e dicevano che erano i fascisti, col cazzo, vieni con me a vedere chi sono, oppure hai paura, scusami non venirci, son posti schifosi ci nuota il coatto si dice adesso, come suona bene, peccato che tutti i compagni non siano come te Lucia, vieni a vedere questo Coccodrillo spia della polizia, me l'ha venduta tante volte la roba e quando ho smesso me la lasciava gratis sul sedile della macchina, generoso, vero? Come quelli che ti lasciavano l'esplosivo in casa e dicevano ognuno deve fare la sua parte, eppure c'è chi mi ha salvato tante volte, parlato, anche tu Lucia, e ci sarà alla fine una verità Lucia e scopriremo la verità giù nell'acqua e su fino al più altissimo porço non ci credi? dimmi di sì, io brucio dentro questa storia e non ne vedrò la fine, ma scopriremo la verità, perché se c'è solo un po' di verità c'è speranza e chi l'ha fatta brillare ha fatto abbastanza e non importa se poi non si salverà, salvarsi per avere cosa, questo mondo dove continuano a insultare chi è debole, Lucia, se penso a tutte le persone pulite che ho incontrato e continuano a offenderle Lucia, le uccidono, non ci sono parole per questo delitto, non si può sopportare tutto questo capisci Lucia quando sono nella mia stanza e qualcuno urla anche con gli occhi si può urlare Lucia, Lucia mi chiedo, che cosa è successo, perché fingete di non vedere, vorrei capire qualche volta Lucia, ma sapessi che musica nella testa, negli oggetti consumati, e dopo quanto veleno ti senti addosso Lucia, e allora pensa se non fosse così, se non ci credessi più, se tossi perbene Lucia saremmo una coppia normale, io e te, al ritorno dal cinema andremmo a casa e non saremmo perduti in una città di notte, ma quelli perbene forse sono perduti lo stesso Lucia, ma se almeno ascoltassero, se capissero che l'altra metà di verità per quanto si può raccontare solo urlando è l'altra metà necessaria, Don si può togliere via non si può dimenticare, alla fine solo il dolore esiste come esisto io, un matto per strada, un matto è una persona che non sa dove andare, niente di più Lucia, tu puoi capire, tu che sei benedetta tra le donne, tu che mi hai visto felice, tu che sei coraggiosa tu che a volte mi hai lasciato solo come un cane tu che adesso per favore scendi non guardarmi ti dico, questo è un sentiero per comici spaventati guerrieri e io non voglio né vincere né perdere solo che tu mi ricordi e dopo che mi anneghino nello zero di quelle medicine e mi chiamino come vogliono e tornino a raccontare le loro storie, non sono vere, manca metà, tu lo capisci cara, almeno tu e allora scendi per favore.
"Vengo con te," disse Lucia.

La terza perché a quasi quarant’anni di distanza tutti dicono “che sporca cosa è la guerra” ma pensano ancora che è bella ed eccitante. Anzi, qualcuno, senza memoria, ha smesso di pensarlo ed ha perfino iniziato a dirlo. Da pag. 98 a pag. 99.

Ridiscendiamo al primo piano. Sandri guarda un film di guerra e gli piace, è uno di quei film dove tutti dicono "che sporca cosa è la guerra" ma si capisce che invece il regista pensa che è bella ed eccitante. È così rassicurante pensare che per mille coglioni che parlano contro la guerra ne basta uno fidato che metta un po’ di tritolo nel posto giusto per raccendere tutto, come il gas. Sandri guarda la sua collezione di pistole e la trova più bella e fatale di qualsiasi collezione di pipe. Dopo il film c'è un dibattito con un intellettuale pacifisso. Stronzi. Abbiamo letto anche noi, cosa credete? L'Iliade è un libro sull'ira, l'Odissea sull'incazzatura di un dio vendicativo e l'Eneide un massacro e l’Orlando è furioso e la Gerusalemme mica la liberano col carro attrezzi e Shakespeare finisce sempre a spadate e Don Chisciotte non l'ho letto ma se è Don sarà tipo "il padrino" con sangue e mitragliate. Si guarda allo specchio, gonfia il torace, si trova niente male. Non come Rambo, ma non importa. I Rambi passano, i Sandri restano. 

Una tisana

Avrei bisogno di una tisana tranquillizzante. Me ne servirebbe un po'. Hai qualche idea?

Favole dell'abbandono: La scarpina

Per chi ha voglia di una favoletta di primo mattino c'è "La scarpina" su lortica.it della serie Favole dell'abbandono. Perché quando uno si sveglia troppo presto per qualsiasi cosa l'unica cosa da fare è immaginare.

giovedì 16 ottobre 2025

L'ultimo segreto per un mondo migliore

È sempre un piacere leggere Dan Brown. Immergersi in quella tensione che è immersione nel sapere, nella curiosità, nella storia, in radici e ramificazioni che pensavi di conoscere e che ti accorgi di poter leggere e guardare diversamente e con una diversa mente. 
L’ultimo segreto” (Rizzoli) è finito in libreria ma voglio qui conservare queste poche parole così legate al nostro tempo. Per i curiosi stanno alle pagine 760-762 e non consiglio di arrivarci senza leggere quelle che le precedono.

«A quanto emerso, però» spiegò Katherine, «l'attacco e la fuga non sono le uniche reazioni del cervello alla paura della morte. Esiste una risposta più graduale, che si consolida nel corso degli anni quando sentiamo che il mondo non è più un luogo sicuro. Uno scenario che ormai riguarda molte persone.»
«È una paura razionale» commentò Nagel.
«Ogni giorno siamo esposti a un bombardamento mediatico che ci ricorda come l'ambiente sia in pericolo e siano sempre più concrete le minacce di una guerra nucleare, di pandemie incombenti, di genocidi e delle altre infinite atrocità compiute sul nostro pianeta. Tutte queste informazioni innescano nel cervello una strategia di gestione del terrore che lavora in background: non attiva la modalità di attacco o fuga, ma ci predispone al peggio. In sostanza, più il mondo diventa terrificante più tempo trascorriamo a prepararci inconsciamente alla morte.»
Nagel non era sicura di aver capito dove stesse andando a parare il discorso. «Prepararci alla morte... come?»
«Credo che la risposta la sorprenderà. Di certo ha sorpreso me. Mentre facevo delle ricerche sul cervello e la salienza della mortalità, ho scoperto che la paura crescente della morte causa un'importante serie di risposte comportamentali. Tutte egoistiche.»
«Scusi?»
«La paura ci rende egoisti» chiari Katherine. «Più temiamo la morte, più ci aggrappiamo a noi stessi, ai nostri averi, ai nostri spazi sicuri... a ciò che ci è familiare. Mostriamo una maggior propensione al nazionalismo, al razzismo e all'intolleranza religiosa. Ci facciamo beffe dell'autorità, ignoriamo le convenzioni sociali, rubiamo agli altri cosi da accumulare per noi e diventiamo più materialisti. Abbandoniamo persino il nostro senso di responsabilità ambientale, perché pensiamo che il pianeta sia una causa persa e che siamo comunque condannati.»
«Uno scenario allarmante» concordò Nagel. «Sono proprio questi comportamenti che alimentano le tensioni globali, il terrorismo, i divari culturali e le guerre.»
«Sì. […] Purtroppo si innesca un circolo vizioso: più la situazione peggiora, peggio ci comportiamo. E peggio ci comportiamo, più la situazione peggiora.»
«E secondo la sua teoria questa spirale preoccupante deriva dalla paura che l'uomo ha della morte?»
«Non è una mia teoria» replicò Katherine. «È dimostrata scientificamente da una montagna di prove statistiche raccolte attraverso analisi osservazionali, esperimenti comportamentali e sondaggi demoscopici. Il punto più rilevante, però, è il comportamento mostrato da chi, per qualsiasi ragione, non teme la morte: più benevolo, più aperto al prossimo, più collaborativo, più rispettoso dell'ambiente. Questo significa che, se riuscissimo a liberarci la mente dal terrore della morte...»
«Ci ritroveremmo a vivere in un mondo migliore.» 

mercoledì 15 ottobre 2025

Chisciotte tra le cose belle

Tra le cose belle che accadranno nei prossimi mesi, tra le valige da riempire di costumi e di strumenti, ci sarà il ritorno sulle scene dello spettacolo "In Arte son Chisciottə". Ti ricordi quel tempo in cui sembrava difficile ricordarci chi eravamo e chi avremmo potuto essere? Noi, raccolti nell'ampio spazio protetto del teatro, in quegli stessi giorni davamo vita a una produzione di compagnia che non smette di sorprendermi per i suoi tanti sussurri.
La prima data di questo nuovo rocambolesco viaggio sarà il Teatro Comunale Mario Spina di Castiglion Fiorentino, sabato 13 dicembre 2025, ore 21.

Punti fermi

Questa mattina mi sono messo a pensare ai punti fermi. Si sono mossi.
Per saperne di più non resta che leggere l'ultima tra le mie Ai Stories su lortica.it dal titolo, per l'appunto: Punti fermi.

martedì 14 ottobre 2025

Lavare la coscienza

Quando i tempi si fanno bui, gli umani si incattiviscono e l'igiene se ne va a quel paese c'è un solo consiglio che mi sento di condividere: lavare la coscienza. Ed io conosco 10 modi per farlo. Ne parlo nelle mie Pagine Allegre.

Per gli appassionati degli aneddoti l'asciugatura della coscienza con un panno di pelle di daino a fine articolo è un omaggio a Nicola Rignanese e allo spettacolo "Morire del ridere", prodotto non pochi anni fa da Teatro Popolare d'Arte e Officine della Cultura, di cui ho fatto parte insieme a Massimo Ferri e Luca Roccia Baldini. Ha girato un po' in tutta italia, qualcuno di certo se ne ricorderà. Grazie Nicola: quell'idea di asciugare la coscienza non mi ha mai abbandonato.

giovedì 9 ottobre 2025

Il più e il meno

Citazioni da Erri De Luca, Il più e il meno, Feltrinelli. Conservare per preservare.

(Pag. 23) Un bambino dirimpettaio di loro li credeva ai lavori forzati. Oggi so di preciso che è così: vendere la propria forza di lavoro, con l’agguato continua di ferirsi, cadere. Scontavano la pena di essere figli di fatica, senza scuola. Avevano allegrie improvvise, sfogate in canti nel frastuono dei colpi degli arnesi. Il corpo aggiusta gli sforzi e i respiri sopra un ritmo musicale. Il corpo di un operaio spende meno energia quando raggiunge il canto. Il corpo è un meccanismo musicale a fiato, a corde e a percussione. 

(Pag. 35) Così erano le storie, una materia travolgente che ognuno sapeva svolgere con perizia e istinto, trascinando verso i brividi o il riso secondo l’ora e i piaceri. Imparavo così che la letteratura non poteva competere in potenza con i cantastorie e con il loro teatro in spalla. I libri che cominciavo a conoscere avvincevano diversamente, non per il fulmicotone degli avvenimenti scanditi dalle voci. 

(Pag. 49) Ho saputo da me che per scrivere bisogna stare sgomberi, sfrattati, come alloggi in cui arrivano le storie, a carovane zingare in cerca dello spazio di nessuno. 

(Pag. 90) Ho conosciuto lì l’odore del coraggio. Non è da raccogliere in essenze e farne profumo. Il coraggio puzza di sudore, di sputo, di sangue, di bestemmia e di supplica, di fogna e di furore. La paura incallita affiora in superficie e chiede aiuto, la paura maledetta e sacrosanta rende quelle ore di lavoro un quotidiano sacrificio di Isacco. 

(Pag. 92) Quelle persone venute prima ci hanno spianato il cammino battendo come alpinisti un passaggio in neve alta, affrontando il rischio di venire travolti dalla valanga della reazione. Nessuno li costringeva a esporsi, solo il loro sentimento di giustizia che a volte fa di una persona una prua che apre il mare in due. Perché la giustizia non è un codice di leggi, ma un sentimento che scalda e salda le ragioni e il fiato, la dignità e la colonna vertebrale. 

(Pag. 98) La scrittura sacra onora lo straniero, non per la sua merce di bracciante, lo onora e basta, senza tornaconto. Raccomanda di lavare i piedi al pellegrino, all’ospite improvviso. Neanche devi attendere che bussi all’uscio: Abramo si precipita incontro ai tre che vide da lontano avvicinarsi al suo accampamento, alle querce di Mamre. La scrittura sacra onora lo straniero perché è seme del mondo, perché alla specie umana fu chiesto di moltiplicarsi e riempire le facce della terra. E prescrive di amarlo: “E lo amerai come te stesso perché stranieri foste in terra di Egitto” (Levitico/Vaikrà 19,34). E stranieri furono per quarant’anni di deserto condividendo manna in parti uguali, luoghi e tende, passi, fermate e un’alleanza stretta con la divinità scesa sul Sinai. Straniera è la specie umana sulla faccia del mondo: “Perché mia è la terra e stranieri e residenti siete voi presso di me” (Levitico/Vaikrà 25,23). Forestiero è la condizione di partenza, la premessa. Senza di questa è facile ubriacarsi, prendersi per padroni del suolo, dell’aria, dell’acqua e del fuoco, spartirsi tra pochi le quote abusive di un condominio del mondo.

La parte migliore del giorno

Citazioni da Philippe Delerm, La parte migliore del giorno, Frassinelli. Quello che intendo tenermi perché un po’ mi riguarda.

(Pag. 28) Sono una bella cosa gli spettacoli della domenica pomeriggio: dissipano un po’ l’inevitabile malinconia delle serate domenicali, di cui tutte le domeniche sere rimangono prigioniere. 

(Pag. 29) Le due giovani donne sono bionde, magre, elegantissime nel loro abito nero. Le musiciste sono quasi sempre carine; il signor Spitzweg ha l’impressione che una volta non fosse così. Gli strumenti si accordano. Tra il pubblico qualcuno si schiarisce la voce. Non appena inizia il primo pezzo, uno spettatore è colto da un incontenibile attacco di tosse. Ci sono sempre tante piccole cose irritanti nei concerti. Quasi dei riti. Alla fine del primo movimento alcuni applaudono. Arnold non sa cos’è più fastidioso: l’imbarazzo quelli che applaudono e si ritraggono sentendo di non essere seguiti; il disprezzo quasi palpabile di chi sa e considera gli altri dei bifolchi; o la mansuetudine dei musicisti, che accettano che non tutti siano melomani e abbozzano un sorriso di perdono prima di attaccare subito con il movimento lento, per non prolungare l’equivoco. 

(Pag. 45) Ma per il momento si concentra solo sulla voluttà del gesto con cui estrae dalla tasca il coltellino svizzero che non usa mai, che gli gonfia i pantaloni del piacere dei godimenti inappagati. “Può servire per un sacco di cose”. 

(Pag. 54) Quanto a lui, Arnold non vedeva un’antinomia tra la sua tendenza a vivere piccole bolle di tempo cristallizzato e il desiderio di prolungarle, di autenticarle con le parole. Forse perché non poteva ambire allo stile? Scriveva le parole come gli venivano, senza un vero sforzo e senza ricerca. Provava, al contrario dei grandi scrittori votati il silenzio, la deliziosa sensazione di moltiplicare il potere del presente attraverso la tentazione di raccontarlo.

(Pag. 71) È curioso, ma rimpiange quella fase della vita. Sono così forti i primi caldi estivi quando ci si gioca il futuro. Si è innamorati, si ha paura, ma i mattini sono talmente leggeri, nella freschezza che precede il sole sicuro. Si prova in maniera confusa il piacere di stare bene nel proprio corpo, anche se non si sa ancora come un giorno possa scomparire. È così che si vede il mondo, anche se è eccessivo. Si ha qualcosa da perdere. 

(Pag. 149) Arnold si lascia avvincere spesso dalle onde del piccolo schermo. Ogni volta che ha parlato di reality show, Dumontier o Jeanne Corval lo hanno messo alle corde: “Non so cosa sono, non li guardo”. Il signore Spitzweg non potrebbe dire altrettanto. Li ha guardati, affascinato da quel desiderio di una notorietà fine a se stessa. Ogni tanto si è giustificato con Clémence, la sola che gli dia retta: “Sotto c’è come un’angoscia metafisica. Un bisogno di esistere che non poggia sul nulla. Questo è tipico della nostra epoca. Mi fa inorridire, certo. Ma stranamente mi riguarda”.

lunedì 6 ottobre 2025

Culture contro la paura

Ma come si fa a dire che oggi è lunedì? Con una notizia così per me vale domenica! L'Orchestra Multietnica di Arezzo, I Benvegnù e Dario Brunori! Insieme! Sul palco! Ho finito i punti esclamativi! Me ne resta uno: i biglietti sono già in vendita su Ticketone!

mercoledì 1 ottobre 2025

Occident Express su Rai5

Avviso per chi non c'era, per chi mancava, per chi aveva qualcos'altro da fare e s'è perso una delle 100 repliche in teatro di "Occident Express (Haifa è nata per star ferma". Domenica 5 ottobre, alle ore 15:50 su RAI5, potrà tornare in scena con noi assistendo alla versione filmica dello spettacolo per la regia di Simone Marcelli. Sempre con Ottavia Piccolo e I Solisti dell'Orchestra Multietnica di Arezzo su testo di Stefano Massini.
La foto postata è stata scattata da Alessandro Botticelli direttamente dal set delle riprese: il Teatro Petrarca di Arezzo.


Il pensiero dell'autunno

Ottobre, autunno, un poco di freddo, un poca di pioggia, tanta bellezza nei teatri di nuovo in fiore. Vale dunque primavera, questo autunno, mentre stiamo preparando il ritorno sulle scene, per la seconda stagione, di "Matteotti. Anatomia di un fascismo" di Stefano Massini, con Ottavia Piccolo e I Solisti dell'Orchestra Multietnica di Arezzo

domenica 28 settembre 2025

Cartoline dal Palio

Cartoline a e da quel pazzo mondo del Palio di Isola Dovarese. Due settimane fa, a quest'ora, ero ancora nel XV secolo. Eppure avevo mangiato da poco marubini in brodo. "Come trattate i pezzi di legno voi non lo fa nessuno. Vi abbraccio forte" sta scritto dietro, per gli isolani.

La prima cartolina è un link ed il racconto fa parte della mia serie Pagine Allegre su Toscanamedianews.it (qui su Quinewsarezzo.it perché mi fa piacere così).

La seconda è proprio quello che sembra. A presto! 

La paura

La paura ha il suo architetto.

sabato 27 settembre 2025

Ai Stories: L'arte più difficile

L'altro giorno, in cucina, avevo a che fare con i porri e con i finocchi. Ed anche con lo scalogno (che il correttore automatico non contempla: la scalogna è molto più attuale). Non sono riuscito a non fermare un pensiero: quanta volontà di far come le cipolle. Tagliavo e pensavo. Pensavo e sfogliavo, mentalmente, una cipolla (cosa molto più gradita perché non porta lacrime). 
Stamani, con l'alba sugli occhi, ne è venuto fuori il raccontino "L'arte più difficile" della serie Ai Stories inserite nel mio blog su L'Ortica notizie pungenti
Se avete voglia di leggerlo, prima di mettervi a cucinare per il fine settimana, accomodatevi. Basta poco e non serve condimento: va giù da solo. Vegetariani e vegani sono i benvenuti.

martedì 23 settembre 2025

Teatri e stagioni

Autunno. Giorno dopo giorno i teatri tornano ad aprire le porte, ad accendere le luci, a presentare le proprie stagioni. Un invito al teatro che è sempre un invito rivolto ad una piccola o grande comunità, a stare insieme, a dialogare, anche a discutere, sempre su ottime ragioni, tornando poi a casa un po' più vivi, raramente più stanchi (c'è perfino chi in platea si fa il suo bel riposino).
Tra i tanti eventi sui palchi italiani della prossima stagione ci sarà anche "Matteotti - Anatomia di un fascismo" di Stefano Massini con Ottavia Piccolo e I Solisti dell'orchestra Multietnica di Arezzo. Non resta che visitare la pagina legata alla produzione, su Officine della Cultura, per avere sott'occhio tutte le date e i teatri e i luoghi di questo nuovo viaggio, man mano che escono. Chi viene a trovarci?

sabato 20 settembre 2025

Favole dell'abbandono: Le quattro gambe

Per finire bene questo sabato, nonostante tutto, una favola di coraggio e di amicizia. Perché l'impossibile è una convenzione. Buona lettura! "Le quattro gambe" della serie Favole dell'Abbandono.

giovedì 18 settembre 2025

Saràbanda

Si chiude un progetto, si apre un concerto! Stasera tutti in Piazza Zucchi, ad Arezzo, per la festa in musica dell'Orchestra Multietnica di Arezzo a conclusione del progetto Saràbanda. Ingresso libero. Inizio ore 21!

mercoledì 17 settembre 2025

Tre giorni intensi

Tre giorni intensi, nei quali è sempre difficile trovare un momento clou: e forse non sarebbe nemmeno giusto fare una classifica. Certo però, se il Palio – in programma a metà pomeriggio – assegna alla contrada vincitrice tra San Bernardino, San Giuseppe, Le Gerre e Porta Tenca l’onore per un anno intero, fino al prossimo palio, lo spettacolo del sabato sera è sempre ricco di fascino.
Il Viaggio di San Brandano, vicenda ripresa dalla letteratura medievale nordica, e in particolare di un Paese come la Scozia, verso la conquista del Paradiso Terrestre ha tenuto tutti col fiato sospeso, per scoprire – come sempre avviene in questi casi – che quell’Eden si trova proprio in piazza Matteotti a Isola Dovarese.
Diretto da Gianni Micheli e con la supervisione artistica di Emanuele Tira, la Navigatio Insulensis di San Brandano e dei monaci ha animato un sabato sera benedetto dal bel tempo e dalla presenza di molte persone, che sin dalle prime ore della serata hanno affollato le varie locande, in modo da essere presenti dalle ore 21 al via della rappresentazione.
Un’edizione numero 58 che sta confermando le attese e del resto bastano queste immagini per scoprire quanta cura dei dettagli ci sia dietro i costumi, le scenografie e le coreografie: quando si dice che Isola Dovarese aspetta il Palio per tutto l’anno, è perché in effetti per tutto l’anno lo prepara, chiedendo “rinforzi” anche da fuori ma senza mai dimenticare il fatto che chi vive a Isola sente molto di più questi momenti, così come chi vive altrove ma da qui è partito.


Dall'articolo su Oglioponews.it di Giovanni Gardani

Tempo lieto

Aqua grama, tempo lieto, amici de l'arte delle cose belle. 
Qui con Emanuele Tira. Grazie per lo scatto a Eugenio Carasi.

martedì 16 settembre 2025

La macchina del tempo

Sì, mi sarei visto bene in questi panni. Un libro tra le mani, la penna al fianco. Cronista di anni che non sapevano di quale futuro sarebbero stati protagonisti d'eccezione. Il Palio di Isola Dovarese, per me, è anche questo: una concreta, reale, possibile macchina del tempo.
Grazie per gli scatti ad Andrea Gaviraghi.


Nello scatto successivo il dialogo con Messer Giocondo (Andrea Turcato), stupefacente conoscitore delle regole dei giochi storici del Palio, in particolar modo del màgher!

lunedì 15 settembre 2025

Le cinque del pomeriggio

Quando scoccano le cinque del pomeriggio della domenica del Palio Di Isola Dovarese! La foto è di Claudio Gagliardini.

Nello scatto che segue - sempre di Claudio Gagliardini - l'ingresso in piazza di Barbara di Brandeburgo, marchesa di Mantova dal 1444 al 1478, di passaggio ad Isola Dovarese nel novembre del 1458. Sulla destra un modesto narratore terrà memoria dell'avvenimento per raccontarlo in piazza alle future generazioni.

domenica 14 settembre 2025

sabato 13 settembre 2025

Una piccola parte del momento

Sono scatti che forse rendono l'idea, ed almeno una piccola parte del momento, ma io dico che se non venite al Palio Di Isola Dovarese a vedere dal vivo come qui nasce la magia c'è qualcosa che vi sfuggirà sempre. 
Senza disperarsi c'è ancora oggi e ci sarà ancora domani. Vi aspetto in piazza!