domenica 4 ottobre 2020

Riccardino

Ho iniziato a leggere Riccardino con la brama che si ha per il ritorno di un amico atteso e per quella storia che ha da raccontarti che, al telefono, non è riuscito a dirti perché, a suo dire, proprio non poteva e non voleva. Ho iniziato con il consueto piacere, masticando tra le labbra la lingua di Camilleri, trovandomi spiazzato - arraggiato - dal primo e dai successivi estenuanti interventi dell’Autore. Avrei interrotto la lettura, quasi, sopraffatto dal reale insinuatosi tra le righe, finché sono arrivato lì dove tutto ha fine, in quel precipizio della storia temuto e atteso. E lenta, tra le parole, è scivolata l’emozione del presente, della presenza, dell’esserci. Del compiersi di un atto inusuale e inusitato che, facendosi leggere, afferrava il suo posto nella storia della letteratura nello stesso tempo in cui si prendeva un luogo nella mia storia personale e nella mia memoria.
Non poteva essere che così, dunque, e ringrazio Andrea Camilleri per questo regalo. Non scriverò altro per non togliere ad altri il piacere della lettura (della presenza dell’Autore in Riccardino già hanno scritto in tanti). Conserverò qui solo alcune parole in ricordo del Montalbano che mi è stato accanto:

«Ritengo l’omicidio prima di tutto un delitto contro la ragione […]. Cercare la verità è andare a caccia della verità. Ed è spesso una partita di caccia così lunga, complessa, coinvolgente, sfibrante che talvolta il metaforico sudore di questa fatica appanna la vista e la preda, e la fa diventare un’ombra quasi indistinguibile» p. 217 da Andrea Camilleri, Riccardino, Sellerio.