giovedì 19 marzo 2020

Lettera al giullare ignoto morto senza un nome in tempo di Quaresima

Oggi il mio pensiero è rivolto a te, giullare ignoto di un’era ormai remota morto senza un nome in tempo di Quaresima. Sai, anche da me è tempo di Quaresima, ma non è la Quaresima il mio cruccio e non me ne vogliano i credenti per questo paragone che ha il sapore della storia e non della fede. Per un’inspiegabile scelta del caso o del destino o di quelle leggi punitive che tu ben hai conosciuto, io e te ci troviamo infatti ad essere oggi più vicini che in qualsiasi altro tempo storico da quando il tuo estro bizzarro ha smesso di girovagare per l’Europa. Vicini e compagni di sventura.
Ti spiego. Ricordi questi giorni, proprio questi giorni, i giorni in cui il tuo lavoro subiva quella sosta annuale che ti spezzava le reni e la fantasia lasciandoti senza pane? Sono giorni assai famosi che la storia ha tramandato di generazione in generazione legandone i vissuti ad un colore: il colore viola. Tanto famoso, il viola, da diventare prima superstizione e poi gioco per noi, fortunati eredi del tuo antico mestiere, portatori di una libertà espressiva che sembrava eterna ed era invece effimera.
Comprendi? Eppure, non so quasi come dirtelo e immagino che tu farai fatica a credermi, ma è in questi giorni, proprio in questi giorni, negli stessi tuoi giorni, che anch’io ho perso il mio lavoro, giullare del XXI secolo, sospeso a tempo indeterminato, senza alcuna possibilità di deroga, almeno nel tempo di Quaresima 2020... anche se, pare, si andrà ben oltre e l’intera primavera, se non peggio, a me non porterà sollievo.
Sei scettico? Lo ero anch’io ma è ormai indubitabile: oggi, per la prima volta, anonimo giullare, sei uscito dai libri di storia, che ti lasciavano autentico ma pieno di polvere, per presentarti davanti ai miei occhi in tutta la tua miseria. Nemmeno il tempo di rendermene conto e la tua miseria è diventata la mia. La tocco con mano: è la miseria che arriva da ciò che non è essenziale.
Ed ora dimmi, tu che l’hai vissuto prima di me: curare l’anima, il cuore e il sorriso non è essenziale? Un bimbo che immagina mondi davanti a dei burattini non è essenziale? Un uomo che cura la sua democrazia con l’arma più antica, il teatro, non è essenziale?
Già, non lo è. Solo la sopravvivenza partecipa dell’essenziale. E si può sopravvivere anche nell’agonia dell’immaginazione.
Si può sopravvivere, sì, solo col pane ed è per questo che oggi il mio pensiero è rivolto a te, giullare ignoto di un’era ormai remota morto senza un nome in tempo di Quaresima. Perché tu ed io, oggi, stranamente, drammaticamente, condividiamo la stessa trama e lo stesso destino: siamo ciò che la legge può disperdere, interrompere, sopprimere, negare. Non siamo il pane. Non siamo l’acqua. Siamo un numero e per molti nemmeno quello. Siamo il dito della mano, quello piccolo, che si può tagliare prima che la mano vada in cancrena.
Sì, amico giullare, oggi ti ho nel cuore. Oggi ho visto per la prima volta la polvere sulle tue scarpe, la stanchezza su ogni tuo osso, la fame dentro il tuo vestito colorato, la lacrima dietro il paravento dei tuoi occhi allegri. Ho visto la rinuncia e la malinconia. Vieni, dunque, perché ho trovato per te un luogo dove piangerti, piangere la tua miseria e, insieme, anche la mia. Eri immagine e colore. Oggi sei carne e dolore. Oggi sei colui che è morto in tempo di Quaresima, in una casa che non era la sua, tra gente che non sapeva il suo nome. Tra uomini che solo avevano bisogno di ciò che era essenziale e noi non ne facciamo parte.

P.S.
Mi conforta che secoli di grande teatro siano nati da quando hai chiuso gli occhi, che le tue fatiche abbiano avuto un premio. Nascerà qualcosa di bello e di migliore anche oggi, da queste lacrime, ne sono certo. Abbracciamoci, noi che possiamo farlo.
Ti mando il mio saluto più caro.