Inizierò questo nuovo anno di blog, e di citazioni, da Il mercante di luce di Roberto Vecchioni (Einaudi) di cui ho apprezzato molto anche se non tutto, non quell’affondare della trama in linee disarmoniche e all’apparenza poco utili. Tant’è: si scrive ciò che si vuole, bisogna farsene una ragione e, laddove possibile, o svelarne le motivazioni o darsi pace.
«Epperò, in quella parvenza di mezza veglia e mezzo sonno, aveva già scoperto, fin da bambino, la stanza ideale perché i suoi pensieri non scappassero dappertutto ma restassero ben dentro, si agitassero nella testa fino a prendere la forma di quel che chiamava “parolamento” e non sapeva che già fosse poesia. Le boschine del Po erano per lui un quadro di perenne sfondo, quasi l’assicurazione che dentro, da qualche parte, il mondo si poteva immaginare a piacimento, un po’ come dietro la “siepe”, o il “velo di Maya”: non aveva mai amato le trasparenze, i palazzi di cristallo, i ponti acrobatici che da un punto conducevano immancabilmente solo a un altro punto; non si riconosceva nel finito e nel concluso. La nebbia suggeriva l’imperfetto, l’immaginabile, la bellezza, quella vera che è oltre, non di dietro, non di fianco, e si plasma e riplasma» (p. 8).
«La paura? Certo che si ha paura. Il destino ti ha segnato una traccia fuori da ogni strada battuta, ma tu sei tu, ed è tua. Hai un bel’arrenderti o non mollare, cambia poco. Quella strada è tua e nessuno ne ha una uguale. Gli altri? Gli altri hanno esami di riparazione, lo sfidante che concede la rivincita, tu no. E allora? Sei diverso da tutti: un’eccezione. Ma dio, proprio per questo come ti vedo grande! E se vuoi ridici su, ma l’eroe è sempre solo, come il santo, il bandito, il rivoluzionario, il poeta: il loro specchio è infranto, illeggibile per gli altri il loro viso, incomprensibile l’animo. Solo loro si riconoscono nel riflesso, sanno ricomporre quell’unità sparpagliata» (p. 61).