Da Patrick Modiano, Dora Bruder (Guanda):
«Sono persone che si lasciano dietro poche tracce. Quasi anonime. Non si distinguono da certe strade di Parigi, da certi paesaggi di periferia dove ho scoperto, per caso, che avevano abitato. Ciò che sappiamo di loro si riassume spesso in un semplice indirizzo. E questa precisione topografica contrasta con quanto ignoreremo per sempre della loro vita... con quel vuoto, con quel grumo di ignoto e di silenzio» (p. 25).
«Come molti altri prima di me, credo alle coincidenze e talvolta a un dono di veggenza nei romanzieri… e la parola “dono” non è il termine giusto, dal momento che suggerisce una sorta di superiorità. No, si tratta semplicemente di qualcosa che fa parte del mestieri, gli sforzi d’immaginazione, necessari a questo mestiere, il bisogno di fissare la mente su piccoli particolari – e questo in modo ossessivo - per non perdere il filo e non lasciarsi andare alla pigrizia. Questa tensione, questa ginnastica mentale può sicuramente suscitare, alla lunga, fugaci intuizioni “concernenti fatti passati o futuri”, come scrive il dizionario Larousse alla voce “veggenza”» (p. 49).
«Boulevard Mortier è bordato di platani. Laddove finisce, proprio davanti alla Porta dei Lilas, esistono ancora gli edifici della caserma delle Tourelles.
Il boulevard era deserto, quella domenica, e immerso in un silenzio così profondo che sentivo lo stormire dei platani. Un alto muro circonda l’ex caserma delle Tourelles e ne nasconde gli edifici. Ho costeggiato questo muro. Vi è affissa una targa su cui si legge: ZONA MILITARE. DIVIETO DI FILMARE O FOTOGRAFARE.
Mi sono detto che nessuno ricorda più niente. Dietro il muro di stendeva una no man’s land, una zona di vuoto e d’oblio. I vecchi edifici delle Tourelles non erano stati distrutti come il collegio di rue de Picpus, ma il risultato era lo stesso.
Eppure, sotto quella spessa corte di amnesia, si sentiva qualcosa, di quando in quando, un’eco lontana, soffocata, anche se nessuno sarebbe stato in grado di dire cosa, con precisione. Era come trovarsi all’orlo di un campo magnetico, senza pendolo per captarne le onde. Nel dubbio e nella cattiva coscienza, avevano affisso il cartello “Zona militare. Divieto di filmare o fotografare”» (p. 123).
«Sono persone che si lasciano dietro poche tracce. Quasi anonime. Non si distinguono da certe strade di Parigi, da certi paesaggi di periferia dove ho scoperto, per caso, che avevano abitato. Ciò che sappiamo di loro si riassume spesso in un semplice indirizzo. E questa precisione topografica contrasta con quanto ignoreremo per sempre della loro vita... con quel vuoto, con quel grumo di ignoto e di silenzio» (p. 25).
«Come molti altri prima di me, credo alle coincidenze e talvolta a un dono di veggenza nei romanzieri… e la parola “dono” non è il termine giusto, dal momento che suggerisce una sorta di superiorità. No, si tratta semplicemente di qualcosa che fa parte del mestieri, gli sforzi d’immaginazione, necessari a questo mestiere, il bisogno di fissare la mente su piccoli particolari – e questo in modo ossessivo - per non perdere il filo e non lasciarsi andare alla pigrizia. Questa tensione, questa ginnastica mentale può sicuramente suscitare, alla lunga, fugaci intuizioni “concernenti fatti passati o futuri”, come scrive il dizionario Larousse alla voce “veggenza”» (p. 49).
«Boulevard Mortier è bordato di platani. Laddove finisce, proprio davanti alla Porta dei Lilas, esistono ancora gli edifici della caserma delle Tourelles.
Il boulevard era deserto, quella domenica, e immerso in un silenzio così profondo che sentivo lo stormire dei platani. Un alto muro circonda l’ex caserma delle Tourelles e ne nasconde gli edifici. Ho costeggiato questo muro. Vi è affissa una targa su cui si legge: ZONA MILITARE. DIVIETO DI FILMARE O FOTOGRAFARE.
Mi sono detto che nessuno ricorda più niente. Dietro il muro di stendeva una no man’s land, una zona di vuoto e d’oblio. I vecchi edifici delle Tourelles non erano stati distrutti come il collegio di rue de Picpus, ma il risultato era lo stesso.
Eppure, sotto quella spessa corte di amnesia, si sentiva qualcosa, di quando in quando, un’eco lontana, soffocata, anche se nessuno sarebbe stato in grado di dire cosa, con precisione. Era come trovarsi all’orlo di un campo magnetico, senza pendolo per captarne le onde. Nel dubbio e nella cattiva coscienza, avevano affisso il cartello “Zona militare. Divieto di filmare o fotografare”» (p. 123).