domenica 9 marzo 2025

Mastruzzi indaga di Pino Cacucci

Pino Cacucci, “Mastruzzi indaga”, Feltrinelli 2002. L’ho trovato nella libreria della casa a Milano in cui mi sono fermato qualche giorno. Potrebbe sembrare datato. Ed invece sembra scritto oggi. Oppure sono io ormai così stanco, al pari di Mastruzzi, da ritrovare i miei panni tra queste parole.
Ne riporto alcuni frammenti per i tanti appassionati, e i tanti che sono stanchi come me, di uno scrittore che si fa sempre leggere con piacere.

P. 44: “Poi c'erano quelli che lui immaginava come dossier, i ritagli su uno stesso argomento che, magari inconsciamente, gli servivano a confermare il suo viscerale disprezzo per quelle strane figure che in un giornale si dedicano esclusivamente a inventare titoli. Ogni tanto si illudeva di poter dare un ordine logico a quel cumulo di memorie, al suo squinternato e confusionario archivio della malafede informativa. Ma si disperdeva puntualmente entro la prima mezz'ora, soffermandosi a rileggere il contenuto di una cartella come per un masochistico bisogno di rancore.”

P. 68: “Mastruzzi salutò i muratori indaffarati a ristrutturare scantinati che adesso si chiamavano tavernette e soffitte ribattezzate mansarde e cacatoi di piccioni divenute altane - il profitto è tutta una questione di stupro del vocabolario, pensava Mastruzzi - e si fermò a scambiare due chiacchiere con il giornalibraio, per poi riprendere la camminata verso l'ultimo tratto della sua strada, leggendo scritte a pennarello... e annunci ciclostilati, pensando che se il "progresso" significava la fine di tutto questo, allora tanto valeva sentirsi vecchi e ostinarsi a fermare il tempo. Eppure non era un quartiere di vecchi.
Non invecchia mai, pensava, chi a settant'anni è capace di capire perché a venti possa farti schifo tutto. Lo pensava passando davanti alle case occupate dai ragazzi con i capelli dritti e gli sguardi ansiosi, quelli che all'inizio i vicini avevano sbirciato di traverso, e poi, com'era d'abitudine al Pratello, erano diventati parte della famiglia, perché la voglia di parlare con chi ti sembra estraneo e diverso, al Pratello faceva sì che alla fine tutti capivano che c'è sempre un motivo per essere come uno è. Mastruzzi non avrebbe mai potuto fare a meno di quell'ambiente, di quel clima, di quell'aria pulita e libera dal bisogno ottuso di catalogare gli altri. Al Pratello si rimaneva persone indipendentemente da come ti guadagnavi da vivere la notte, o da quello che ti mettevi in vena, o da ciò che compravi o rivendevi, non ti giudicavano per il chiasso o il silenzio, né per la camicia o l'annata della tua macchina, contava solo quel che facevi e dicevi agli altri. Un mondo a parte, certo, un rimasuglio di umanità destinato all'estinzione. Perché Bologna non sorgeva su un colle di Giove, non orbitava su un anello di Saturno, ma faceva parte di un'Italia, di un'Europa, di un Occidente spietati, di un'epoca spietata. E il Pratello stava nel cuore di quella Bologna Ii, un cuore chiuso in un torace di banche e immobiliari, che compravano tutto per rivendere a pochi, sventravano case per farne dimore asettiche da sei milioni al metro quadro.”

P. 81: “Certo, che non era così semplice. Ma il rancore verso un mondo che era sempre più complicato lo portava a cercare, inesorabilmente, il modo più rabbioso di semplificare le cose. Pensò che gente come Al Capone sarebbe rimasta nel limbo della piccola delinquenza senza storia, se un giorno qualcuno non avesse proibito gli alcolici.
Pensò che un fiume di soldi grande quanto il Po, è in grado di imporre qualsiasi legge e qualsiasi legislatore. Pensò anche, da uomo semplice qual era, che il poliziotto senza i ladri sarebbe un disoccupato, come il commendator Vincente senza gli eroinomani. Ma convenne che un poliziotto disoccupato potrebbe finire per fare il ladro, e allora qualcun altro farebbe il poliziotto. Mentre il commendator Vincente, anche senza l'eroina, troverebbe il modo di campare sulle disgrazie dei suoi simili.
Tutti pensieri semplici, concluse alla fine.
E pensò anche che con il passare degli anni non aveva guadagnato niente, o quasi, in assennatezza e distacco dalle cose. Perché la vecchiaia, pensava Mastruzzi, non porta saggezza, ma soltanto vecchiaia. Che alimenta rancori, stanchezza, fastidio per il chiasso degli stupidi e i calibrati silenzi dei loro idoli di turno... E come se non bastasse, l'avanzare della vecchiaia, in lui, sviluppava quell'insana voglia di prendere a gomitate in faccia un mondo che, secondo il suo modo semplice di vedere le cose complesse, continuava a non imparare nulla. Neanche agli altri serviva a niente invecchiare.”

P. 110: “Mastruzzi si riempì la bocca di pane e mortadella, perché non sapeva cosa dire a Giustino.
Pensava all'amnistia che prima o poi i politicanti si sarebbero dati per assolvere se stessi dall'aver ridotto l'Italia come era ridotta, pensava a quel ragazzo ammazzato in via Mascarella nel '77 e ai tanti altri sparati nella schiena, per i quali nessuno era finito mai in galera. E pensava che, tra carceri speciali ed esilio, quella disgraziata generazione aveva pagato abbastanza per la colpa di essere troppo sensibile alle delusioni dei padri partigiani.
Giustino si alzò imprecando contro l'orologio e salutò frettolosamente Mastruzzi.
“Se tardo cinque minuti, il capo mi toglie mezz'ora di paga," disse raccattando di corsa gli avanzi. Trotterellando verso il cantiere, aggiunse: "Tanto, ormai, fanno quello che vogliono”.”