in questi anni di teatro per l’infanzia ho visto bimbi tristi e bimbi allegri. Bimbi muti e incontenibili. Bimbi Iperattivi. Iperiperattivi o talmente fermi da sembrare sedati, chimicamente placati. O con le pietre tra i polmoni. Bimbi pensierosi e spensierati. Bimbi e genitori. Presenti e assenti. O distanti ma assordanti. Perché al teatro/laboratorio per i bimbi il genitore va spesso come a una festa di compleanno, come a un’animazione trastullante, di poche pretese, quasi ignorante talmente è infantile e, all’apparenza, “inintelligente”. Non sono genitore, Lettore, ma dalla parte di chi sta coi bimbi, e li organizza in occhi e orecchie e lingue per fare un gioco chiamato ‘teatro’ - ma che già, per me, è il futuro che cerca ragioni, anche nei bimbi, anche coi bimbi -, m’è capitato spesso di lamentarmi di quel brusio genitoriale che col teatro definito ‘per i bimbi’ s’assenta, s’astiene e, nell’attesa, fa anticamera coi suoi simili e si ciarla e si racconta. A voce alta! Come se il bimbo e chi l’organizza si trovasse bene solo in quel frastuono che ormai è la nostra cucina all’ora di cena coi racconti del giorno - quando ci sono - e la televisione accesa in uno stesso tempo, in una stessa storia. Che disastro di racconti! Che storie venute male! Che trame caotiche, insensibili, dispersive alle orecchie dei bimbi e alla loro grande memoria pensante.
E poi viene quel giorno in cui figli e genitori si presentano integri e compatti come opere d’arte esposte in galleria di cui non si riconosce dove la cornice ha fine e l’opera inizio. In cui il fanciullo è grande della fanciullezza che il grande ancora custodisce e si diverte a rappresentare. Questi sono i bimbi e gli adulti che porto nel cuore e per i quali il mio scrivere e fare teatro non è più lavoro, né mestiere, ma è la ‘simpatia’ del diapason che risuona di quel che altri fanno vibrare.
A loro dico grazie perché senza di loro sarei carne e mente da macello, talmente inutile da poter essere assente.
Nella foto gli ultimi di questa stirpe generosa che mi è stato dato in sorte d’incontrare. Il pomeriggio era di pioggia ma non si vede. Eravamo al sole, noi, di una favola in costruzione e non solo in senso letterale. Rischiarati dagli scaffali della libreria Fahrenheit 451 di San Giovanni Valdarno. È a voi che dico grazie!