lunedì 10 novembre 2025

Troncamacchioni

Non potevo trovare parole migliori per iniziare la nuova tournée di “Matteotti - Anatomia di un fascismo”. Ricordando un polesine toscano, di acqua e terra, latifondo e tasche vuote, sfruttamento e miseria. E l’idea, la visione, la necessità, il sogno, l’utopia di un’umanità migliore, o di poche lire in più in tasca per accendere la stufa, col sottofondo dei manganelli.
Leggere questo testo è un risarcimento alla memoria della mia terra, della mia Toscana, perché ce n’è sempre bisogno, oggi più di ieri: “Troncamacchioni” di Alberto Prunetti (Feltrinelli). Partirò dall’inizio perché è fenomenale. Due pagine meravigliose che non voglio dimenticare. Insieme al resto. 
Per saperne di più, a partire dai troncamacchioni, rimando alla seguente pagina su www.ospiteingrato.unisi.it.

(Pagg. 11 e 12). C’era una volta cent'anni fa una Maremma ribelle, sovversiva e indomita. Una Maremma diversa da quella di oggi. Una Maremma crognola, tetragona, armigera. Una Maremma proletaria, solidale, minerale. Quella Maremma i fascisti banno provato a bonificarla. Ne hanno fatto una Maremma domesticata, ispezionata, spiata, diretta, legiferata, regolamentata, recintata e indottrinata. Una Maremma catechizzata, controllata, censurata e comandata. Una Maremma annotata, registrata, censita, timbrata, squadrata, postillata e impedita. Una Maremma riformata, raddrizzata e corretta. Una Maremma ammonita, fuoriuscita e confinata.
Ma io vi canterò di quell'altra Maremma. La Maremma ribelle e indomita. Canterò allora l'armi e gli eroi, il sangue e il respiro grosso, la rabbia e l'ira funesta dei villici crognoli di Maremma. Narrerò le fughe tra i lecceti gli scopeti i castagneti e i forteti, col cuore in gola e le labbra spaccate, coi piedi gonfi dal freddo e le narici piene di tabacco. Vi dirò di carbonai impeciati che mangiano leccio e cacano carbonella, di carbonai che ceduano il bosco a cottimate di bestemmie mentre il mulaio smacchia salmodiando sulla virtù della moglie del granduca Leopoldo di Lorena, secondo di questo nome, che notoriamente se la face tu con Pionono. Potrei dirvi poi dell'orrido marmo, a perpetua memoria e sollazzo dei piccioni, dedicato a Canapone, che faceva ridere tutta Firenze, dalle mura al Bargello, col suo giallo testone. E come non citare quel gesuita, lo Ximenes, che mise rubinetti per tutti i paduli, i paduletti, le gore, le polle, gli stagni, le maremme, le chiare e fresche e dolci acque in cui mi son bagnato sin da fanciullo. Tutto questo potrei dirvi e altro ancora: gli eretici dell'Amiata e i flagellanti di Roccatederighi, la banda del Prete e gli ultimi briganti sovversivi, gli sterratori ammalati di malaria e i condannati ai lavori forzati, l'opera nazionale e il tribunale speciale, i malfattori renitenti e i refrattari impenitenti, i grassatori delinquenti, gli anarchisti animosi, faziosi furiosi e criminosi, la quercia di Garibaldi, il salto della Pia e quello del fosso di Gavorrano, quando a un contrasto in ottava rima si mette mano; e ancora vi direi dei "nostri padri etruschi" che si vergognerebbero di cotanta prole, della Bella Marsilia e beato chi se la piglia, del salto in padella del brigante Tiburzi venduto alla carta nel menù del giorno e dei cipressi di Bolgheri a fermentazione controllata con lieviti naturali, alti e schietti e in duplice filar.
Potrei dirvi di Guidoriccio da Fogliano all'assedio del castello di Montemassi, che s'incazza come un turco al pensiero di Cecco Angiolieri, mentre i turchi, quelli veri, insegnano al beato di Boccheggiano le beatitudini dell'ano. Che altro ancora? Vi dirò di transumanti e migranti, di disertori briganti, di occhi gialli e buzzi verdi, di malaria e fegato grosso, di chinino e acque cotte, di stagionanti svernanti cottimanti rampicanti pensionanti e militanti a cottimo, a minuto, a dettaglio e a tanto all'ora. Tutto questo potrei dirvi, e altro ancora... Ma mi fermo, per ora, al nome di Marchettini Domenico, detto il Ricciolo. 

(Pagg. 45 e 46) Ci vuole gente come il signor Pierazzi, che il Mauri lo vedrebbe bene a fare il politico. Ma lui non sembra interessato alla politica, anzi, dice che per ora il suo unico programma è chiudere le sedi delle leghe contadine e sindacali, le case del popolo, i locali dei sindacati e dei partiti di sinistra, le tipografie, le cooperative e le società di mutuo soccorso. Che poi sono le organizzazioni del movimento operaio che il carabiniere Mauri deve continuamente tenere sotto controllo, come richiesto dal prefetto. In effetti questi squadristi in camicia nera ci appiccano direttamente il fuoco ai posti che i carabinieri devono tenere sott'occhio. A dire il vero, ha detto il Mauri al prefetto, bisognerebbe chiudere anche i municipi, dato che i comuni di questa zona, dopo le elezioni amministrative del 1920, sono quasi tutti in mano a giunte di bolscevichi. Il prefetto l'ha fissato con sguardo grave, poi ha strizzato l'occhio e gli ha detto: "Sarà fatto”.
E hanno cominciato. Sono partiti da Grosseto, per poi rastrellare paese dopo paese. Gli squadristi in camicia nera arrivano sui camion. Pestano un po' di gente, anche a caso: quanti ne trovano, tanti ne picchiano. Poi entrano in comune manganello alla mano, purgano il sindaco socialista e gli fanno firmare le dimissioni, che il prefetto accoglie volentieri. Dopo si infilano nelle case dei socialisti, e anche lì rastrellano mobili e vettovaglie e incendiano tutto sulla pubblica via. Saccheggiano i bar, distruggono le tipografie dei giornali rossi, le case del popolo, le camere del lavoro. Infine, ubriachi marci, spaccano un altro po' di teste, rubano quel che c'è da rubare e se ne vanno cantando Giovinezza e gridando viva l'Italia fascista.
E si fanno chiamare italianissimi e patrioti. 

(Pagg. 101 e 102) Dopo 23 anni di schiavitù mi rivolgo a voi per avere giustizia di certi fatti successi a mio marito. Socialista di fede, costui era un ostacolo che i fascisti dovevano sopprimere per le loro brigantesche gesta. Non potendo trovare nulla nel suo modo di agire, quella stretta cerchia di lazzeroni cominciò col togliergli ogni lavoro, sperando di ridurlo in miseria. Un giorno lui disse al fascista Lorenzo Ferrari, allora segretario del fascio di Tatti, che Mussolini, come aveva tradito noi socialisti, domani avrebbe tradito loro fascisti. Fu per questo barbaramente bastonato. Questo fu l'inizio di una serie di soprusi e angherie che dovevano rovinare la vita di mio marito. Così, ci siamo trovati per anni nella più squallida miseria: senza lavoro, senza risorse, e avendo me e due figli da sostentare, la mia casa frugata di continuo, saccheggiata da squadre di fascisti e di carabinieri con la scusa di cercare bandiere, libri e quadri antifascisti. Lui insultato, spiato, perseguitato continuamente. Non aveva più pace, non potevamo più vivere.
Le perquisizioni continuavano incessantemente e il peggio si raggiunse quando mi trovarono in casa la fotografia di Matteotti. Fu terribile quel che ci fecero: mia figlia minore ne provò tanto spavento da avere il sangue travagliato e da allora non fu più la solita. Debole, malaticcia, impressionabile per un nonnulla, finché ne venni privata. Accuso i fascisti della sua morte: essi me l'hanno uccisa.
Dovemmo alla fine andare a vivere fuori da Tatti, in campagna, troppi ricordi tristi aveva quel paese per noi. Ma anche là mio marito era ormai incapace di lottare: avevano fiaccato il suo spirito, non era più che un relitto. Immaginate il mio strazio nel vederlo deperire di giorno in giorno. Me lo portarono infine all'ospedale di Massa Marittima che era agli estremi: e li morì.
Io adesso mi rivolgo a voi, del Comitato di liberazione nazionale, per avere giustizia. Essi non hanno avuto pietà di noi, ci hanno colpiti negli affetti più cari. Siate irremovibili.
Lettera al Comitato provinciale di liberazione nazionale di Michelina Caselli, Tatti, 1944

(Pag. 140) La tragedia non è cosa per poveri, pensavo un tempo. Ai poveri si addice la commedia. Ma la realtà è che anche il tragico si addice agli ultimi, quello che a loro manca è la retribuzione finale, la compensazione, la catarsi alla fine della novella nera.
Rimane almeno, adesso, il racconto, che forse è poca cosa, ma è meglio di niente.