lunedì 27 ottobre 2025

Bebelplatz

Bebelplatz. La notte dei libri bruciati, di Fabio Stassi (Sellerio, 2024). Un viaggio da compiere, necessario. La ricerca dei tempi, delle ragioni, dei nomi. Ne terrò traccia in due piccoli punti.

A dispetto di una lunga e duratura pace, la follia della guerra aveva continuato a crepitare anche in Europa, sotto le braci: era divampata sanguinosamente in Jugoslavia, alla fine dello scorso secolo, si era riaffacciata nel Donbass e avrebbe di nuovo infiammato la Palestina di lì a poco. Il fragore minaccioso di nuovi bombardamenti rendeva molto più percepibile il ricordo di tutte le distruzioni che li avevano preceduti. Se gli uomini fossero delle conchiglie, mi aveva detto mia madre, quand'ero bambino, sarebbe questo il solo suono che tratterrebbero per sempre.
L'allarme di una sirena, lo scalpitio affannoso sulle scale di un ricovero sotterraneo, l'eco di un'esplosione interminabile. Chi lo ha sentito una volta, nella vita, non la dimentica più.

«Non dimentichiamo - ha ribadito recentemente lo scrittore svedese Björn Larsson - che gli stermini e i genocidi sono sempre stati proceduti dalla deumanizzazione delle vittime designate».
Il punto da fissare e definire era questo, quindi: in quale momento si perde il diritto a stare dentro la legge. Lo avevano detto in tanti, ma mi sembrava di non averlo mai compreso fino in fondo: se al nemico non si riconosce nessuna dignità, non è più qualcosa di opposto ma ancora simile, il cui contrasto può essere regolato da un insieme di regole: esce totalmente dalla sfera umana. Di conseguenza, il conflitto si trasforma in uno scontro tra una ipotetica civiltà e una ipotetica barbarie, e svincola qualsiasi azione bellica da ogni sistema disciplinato di principi e ordinamenti. Così anche un crimine, persino il peggiore dei crimini, un genocidio pianificato a livello industriale attraverso una impersonale catena di montaggio, smette di essere considerato tale da chi lo commette […].