venerdì 31 dicembre 2010

giovedì 30 dicembre 2010

«E allora vattene» disse il 201 allo 0. «Troverò qualche 1 che ti sostituisca!»

lunedì 27 dicembre 2010

Petit, il poeta

Caro Lettore,
col nuovo anno che batte i piedi e affila i denti t’auguro di rinascere con la voce del poeta “Petit”. È il mio un omaggio video dall’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters messa in piedi dal regista Riccardo Massai (Archetipo - Rete Teatrale Aretina) in quello straordinario evento che ha coinvolto i cimiteri toscani, tra cui quello di Arezzo, nel passato 3 ottobre 2010. Le intere voci degli amici che ci sono cari potrai ascoltarle seguendo il link da youtube. Ancora auguri.

giovedì 23 dicembre 2010

Auguri per il 2011


Per quest'anno puoi cambiare:
niente spiaggia, altro mare...

La pubblicità del tempo

Caro Lettore,
il periodo induce a riflettere. Guy Debord lancia la sfida:
«Questa epoca, che mostra a se stessa il proprio tempo essenzialmente come un ritorno precipitoso di innumerevoli e varie festività, è però anche un’epoca senza festa. […] Quando le sue pseudo-feste volgarizzate, parodie del dialogo e del dono, incitano a un sovrappiù di spesa economica, non restituiscono che la delusione sempre compensata dalla promessa di una nuova delusione. Il tempo della sopravvivenza moderna deve, nello spettacolo, vantarsi tanto più a gran voce quanto più si è ridotto il suo valore d’uso. Alla realtà del tempo si è sostituita la pubblicità del tempo».

martedì 21 dicembre 2010

Colle che durano

Caro Lettore,
eccoti gli avanzi di un manifesto elettorale di vent’anni fa: 21 aprile 1990. Certo, quegli irriconoscibili partiti politici non sono sopravvissuti alla prova del tempo, né della storia, né del voto dei propri elettori … ma la colla… che diamine: quella sì che era colla! Che darei per averne il nome!


sabato 18 dicembre 2010

10 scatti per la neve

Caro Lettore,
ieri (e oggi... e forse anche domani), ad Arezzo, un disastro. La nevicata perfetta! E fortuna che un po’ l’istinto un po’ l’occhio m’hanno invitato ad annullare la prova “caffè” (mi perdonino gli amici del comò) visto quello che è successo sulle strade! Tanti centimetri da non ricordarne nella mia memoria: non così vivi, non così bianchi, non così veri. E così, oggi, in una giornata casalinga obbligata - tutti gli impegni sono stati obbligatoriamente annullati -, quale migliore perdita di tempo che fare qualche scatto alla città imbiancata? Ma che fatica trovare angoli privi d’automobili!
Se hai tempo e voglia di leggere ti lascio anche alle prese con questo raccontino, venuto su un po’ per fantasia un po’ per necessaria ironia: Non solo uomini sotto la neve. Gli scatti sono autentici!











venerdì 17 dicembre 2010

Una promessa


Io e te fratelli
eppure agnelli,
la spina flessa
da una promessa.

Un caffè il 17 febbraio 2011

Caro Lettore,
prima d’immergermi nella presunta bufera di neve che sembra aspettare la fascia tosco-umbra t’invito a prendere un caffè con me e con Les Trois Comò (straordinario quintetto) ad Arezzo il 17 febbraio 2011  - tra 2 mesi esatti - in occasione della rassegna “un Consiglio Teatrale” organizzata dalla Presidenza del Consiglio di Arezzo e dell’anteprima di “Nero Profumo - Racconto in musica all’anima italiana del caffè”. La partecipazione è gratuita ma la prenotazione obbligatoria. È possibile prenotare fin da adesso telefonando al numero riportato sull’immagine. Buona giornata!


giovedì 16 dicembre 2010

Babbo Natale e la concorrenza


Caro Lettore,
guarda in che periodo viviamo! Anche Babbo Natale, adesso, ha i suoi concorrenti. Ha la sua bella spina sul fianco. Ha da fare i conti con il business e con il libero mercato e la libera impresa. E pure il più classico dei simboli natalizi: l’abete! Fino a ieri, in giorni come questi, appeso a un muro, a un traliccio, a una finestra, a un caminetto, a un balcone e via e via non avresti trovato altri che i fratellini rossi e cicciottelli della grande famiglia dei Babbo Natale. E dietro alle finestre, a dare sfarzo e luci a pareti di appartamenti sconosciuti, grandi abeti carichi di palle e di colori. E invece ora alzi gli occhi e vedi issarsi sui muri tipi longilinei e muscolosi, a mezze maniche, che con l’inverno e col Natale non hanno niente a che fare. Che sarà mai? Qualche manager d’astuzia e d’inventiva si sarà accorto che la gente, a dicembre, si è ormai abituata ad alzare gli occhi alle finestre, in cerca degli omini rossi e delle luci accese dietro ai vetri?


Che ne dici di questa finestra addobbata di palle e di regali? Non oso immaginare l’albero che ci sta dietro… o sarà stato sfrattato? Finestra vs abete 1 a 0 e pacco al centro. Il Natale è da riconsiderare.
Tu che ne pensi: è un segno di creatività o di disperazione?

Strisce e allucinazioni

Caro Lettore,
ma perché, a tuo avviso, nell’immagine tutto è nitido tranne le strisce discontinue che separano le due corsie autostradali? Forse il telefono con cui il mio passeggero ha scattato la foto era alticcio? Acqua. Forse era alticcio il passeggero? Bufera. Forse era alticcio l’imbianchino? Fuochino. Forse le strisce erano realmente doppie? Fuoco! Ma non solo doppie… erano pure alternate e ti assicuro che la sensazione alla guida era spiacevolissima. Eppure è così: aumentano i pedaggi autostradali, metti la tua vita nelle mani della gente, e degli ingranaggi, e ti ritrovi con due linee che corrono parallele e alternate. Evviva la fantasia, l’inventiva e la libera improvvisazione… anche in autostrada? Ma lo fanno l’alcol test agli imbianchini autostradali?

P.S.
Va bene. Tu mi dici che era per i lavori. Prima le corsie erano più strette e poi si sono fatte più larghe. Sono ingrassate e s’è dovuto fare un buco in più alla cintura… ma il vecchio buco è rimasto segnato, sfigurato. Strada cicciona!

Acciaio

Caro Lettore,
leggi queste da Silvia Avallone, Acciaio, Rizzoli, 2010…

«In quel momento, da dietro lo spigolo della porta, apparve Anna. Non disse niente. Rimase lì, pulita e scalza. Li guardava, non vista, come un piccolo angelo in pigiama estivo. Nel suo alfabeto, quella era una cosa molto bella. La sua mamma con il viso nell’incavo tra il collo e la spalla di suo fratello, era forse la cosa più bella. Quella per cui valeva la pena, nella vita, non barare» (p. 108).

«Il futuro non è un tempo, è un egoismo» (p. 291).

«Se il tempo potesse scivolare inavvertito dentro le stanze, sotto le porte. Se ogni cosa potesse concludersi in quella posizione sbilenca della testa sulla poltrona, le mani riposte in grembo, dimentiche di tutto quello che hanno fatto, senza traccia, come se non avessero mai cementato una casa, e plasmato rotaie, e percorso corpi, e inciso in profondità i figli» (p. 352).

mercoledì 15 dicembre 2010

C'è forchetta e forchetta

Caro Lettore,
vedi l’immagine a fianco? Ritrae una forchetta e un coltello da pesce. Ovvero: la mia prima forchetta da pesce col suo coltello. Forse di forchette da pesce me ne saranno già capitate tra le mani, non ne dubito, i ristoranti anche di pregio in cui ho mangiato, per mia fortuna, sono ormai diversi, ma questa è la prima che riconosco in quanto tale e che si fa riconoscere. Vedi l’apertura centrale? Vedi quel piccolo cuore tagliato nel metallo? È quello che la rende speciale. Non tanto i rebbi (che, dicono, sia il nome dei denti della forchetta - ma chi lo dice? E chi l’ha mai detto a voce alta? Io, giuro, non l’ho mai sentito pronunciare da nessuno… a parte che dei rebbi che mai si dovrebbe dire?) nel loro numero costante: il 4 (ce ne sono anche con 3 e 2… ma non sono da pesce… o sì?). Quanto proprio nel cuore, che può essere più o meno aperto, più o meno dolce, più o meno intarsiato. E che dovrebbe servire… eccomi alla domanda, caro Lettore: a che serve il cuore centrale della forchetta da pesce? Per la lisca? L’avrei sperimentato, se ne avessi avuto occasione, ma nel caso dello scatto la forchetta era abbinata ad un filetto di Salmerino - tra l’altro delizioso - senza una sola lisca a fargli da condimento. E a proposito del coltello: che uso ne fai, tu, del coltello da pesce se dicesi che il pesce non debba essere mai mangiato col coltello? L’uso che ne ho fatto io se sei curioso un giorno te lo racconterò. Fammi sapere.

lunedì 13 dicembre 2010

Al paese dei libri

Caro Lettore,
leggi queste da Paul Collins, Al paese dei libri, Adelphi, 2010…

«Se sei cresciuto in campagna ti sarai accorto che le fattorie vanno e vengono, ma il segno che lasciano le cantine non si cancella. C’è qualcosa di eterno, in quelle fondamenta scavate a mano nella terra. I libri sono le cantine della civiltà: quando una cultura si sgretola, i libri sopravvivono in virtù della loro semplice, ottusa robustezza» (p. 12).

«In verità tutte le epoche sembrano un po’ ingenue a chi viene dopo. Succede perché il passato è l’unico Paese dove è ancora permesso dileggiare gli indigeni. Ma non ridiamo troppo: presto abiteremo lì anche noi» (p. 62).

«Cosa c’è di più atroce della cattiva poesia? Non la vogliono leggere nemmeno gli altri poeti» (p. 97).

«Guardare una biblioteca, una libreria, un archivio è come guardare una città con gli occhi di un archeologo: tanti edifici costruiti sopra città sconosciute e inconoscibili che una volta, forse, sono esistite» (p. 181).

Nel salutarti vorrei che tu portassi all’autore il seguente messaggio. Da quanto scrive so che ci tiene.

Thank you, Mr. Paul Collins. His book Sixpence House. Lost in a Town of Books, published in Italy in 2010, will not be forgotten… by me and many others… for a while.

martedì 7 dicembre 2010

Monarchia

Caro Lettore,
leggi questa…

«“Il mio destino è nelle mani di due sovrani” pensò Walter. “Lo zar e l’imperatore. L’uno è stupido, l’altro decrepito, eppure controllano il destino di Maud, il mio e quello di svariati milioni di altri europei. Un bell’argomento contro la monarchia!”».
Ken Follett, La caduta dei Giganti, Mondadori, 2010, p. 206.

lunedì 6 dicembre 2010

Un post per il postino

Caro Lettore,
ti ricordi del postino, quello che veniva a portarti la posta, che in paese conoscevamo tutti, che sapevi a che ora arrivava, che salutavi per nome? Il privilegiato! O lo sfortunato nel privilegio… tra i postini privilegiati… per il solo fatto d’essere sulle strade, lontano da una scrivania? Ieri l’ho incontrato. Ti ricordi di come negli anni ’90 vincere il concorso per entrare alle Poste fosse la sicurezza di un futuro certo in fasce orarie certe di solo certi giorni? Ieri ne abbiamo parlato e gli ho detto che in queste mattine di pioggia a volte penso proprio a lui. Penso al postino con la motoretta, o la bicicletta, che ogni mattina chissà di che tinta imbianca il volto nel guardare il cielo e nel prepararsi al peggio. Non che stia male, per carità. Non siamo messi meglio noi attori, specie a Natale, costretti in quei brutti costumi rossi, al freddo e al gelo. E c’è di peggio. Di molto peggio. Eppure noi di questa sorte eravamo forse un poco esperti ma lui, in quegli anni ’90 che a ricordarli nei sogni che trangugiavano viene una malinconia da far piangere i sassi, quando gioiva per il concorso vinto, e il sogno realizzato, mica lo sapeva in che cosa si sarebbe cacciato! Ed io che l’invidiavo!
Ieri ci abbiamo sorriso, sul sogno e sull’invidia, perché il postino, oggi, caro Lettore, non solo porta la posta ma… la vende. In tutti i giorni in tutti gli orari. E vende libri, schede telefoniche, telefoni, penne, televisori, viaggi… Ed è chiamato a venderli, anche il ‘fortunato’ che sta alla scrivania, allo sportello, per tirare avanti la baracca e vincere la concorrenza e sperare che il suo posto non diventi mai il primo da sacrificare. Oggi il postino che conosci ha i capelli bianchi, un po’ più dei nostri. La gran parte della sua borsa è piena di carta che nemmeno sarà letta: pubblicità. E lui lo sa che il suo lavoro, per un buon 50% - sono ottimista -, sarà utile solo al cestino e allo spreco del mondo. La flessibilità è entrata nei suoi orari, nelle sue relazioni, nelle sue conoscenze. Deve promuovere l’azienda e saper parlare di prodotti bancari mentre versa i contanti di una pensione. Di telefoni mentre incassa i contanti di una bolletta. Deve conoscere le lingue, la psicologia. Deve saper trovare lo straniero, l’indirizzo caotico, il numero nascosto. Deve progettarsi architetto, geometra, stradario umano. Deve saper spiegare all’ultimo della fila perché si è fermato un momento, perché quell’altro è passato avanti, perché non ci sono i modelli prestampati, perché quel modello è solo in fotocopia e non può essere portato via, perché quello sportello è chiuso quando la fila esce dal portone e gli accidenti entrano dalle finestre!
Il postino è ormai una professione completa, e complessa. Siamo sicuri che nella riforma della scuola anche il postino non meriti dei suoi propri studi aggiuntivi, come è già successo a noi disgraziati musicisti, e non sia costretto a prendere un qualche diploma professionalizzante?
Sì, non sta malissimo, è sempre un ‘fortunato’ tra i ‘fortunati’. Ma adesso un po’ gli vien da ridere e un po’ da piangere. Prima rideva e basta!

giovedì 2 dicembre 2010

Bigolando

Caro Lettore,
ieri, ad Assisi, tutto bene. A parte la pioggia lungo l’intero viaggio di scollinamento in terra d’Umbria - e anche in parte del ritorno - gli amici dell’Associazione Ritmi hanno ancora brillato della loro propria luce. Non so come abbiano fatto - all’epoca non c’era nemmeno facebook! - ma sono riusciti a trovarsi, a riconoscersi, e operando come un unico grande organismo vivente trasformano qualsiasi situazione in un evento, qualsiasi condizione nella migliore possibile. Fortunati noi a stargli per un poco accanto a questi meravigliosi giovani umbri! Fortunato tu se incapperai in una delle loro tante attività d’arte e d’amicizia.
Del concerto non ho foto, non ancora, ma ho la serie dei piatti che ci hanno accompagnato nel dopo concerto, nell’allegra cena di commiato, e vengo ad illustrarteli volentieri e di nuovo con l’acquolina in bocca ben sapendo che resteresti deluso se andando in Umbria non ti parlassi di buon cibo. Sarebbe come fare trekking con le ciabatte… impossibile!

Questa che segue è dunque in parte anche una pubblicità ma quando è fatta col cuore per persone che lavorano bene e se la meritano che male c’è? D’altronde, assicuro, non è in alcun modo retribuita! Eccomi allora a raccomandarti il ristorante “La Stalla”, ad Assisi, in Via Eremo delle Carceri 24. Se passi da quelle parti all’ora di pranzo, o della cena, e non ti fermi vuol dire che hai male al fegato, che hai i crucci allo stomaco, che hai la bile in bocca, che t’ha lasciato l’amore amato… ma l’indirizzo dell’ospedale d’Assisi te lo cerchi da solo, sciagurato!

L’ingresso è un tripudio di brace! In un cantuccio fa bella mostra di sé una torta al testo morbida che ti viene voglia di spalmartela sulla lingua. È calda e profumata… ma non te la sei sognata! 
Come non ti stai sognando gli effluvi che ti solluccherano il naso e che parlano coi versi della salsiccia e del costoliccio, del pollo e dell’agnello. In un angolo, sotto la cenere, sfrigolano delle patate che sussurrano e, lavate con l’olio nuovo, dicono perfino il loro nome e “Buon appetito!”, in coro con una provola nel suo momento migliore, quello in cui la chimica che trasfigura il mondo compie ancora una volta la sua più straordinaria operazione a cuore aperto: trasformare il solido in liquido e il cibo in oro… commestibile!

Ti siedi, sorridi e irresistibile è l’attrazione verso quella brace creatrice ma… devi attendere contemplando con occhi e palato un saporito piatto verde che pare stonare con tanta ciccia sul fuoco. Sono i bigoli a guardarti in quel modo, a implorare: «Mangiaci». 

Suvvia, è un piatto della tradizione cucinato in una stalla vera, e tu siedi dove un tempo riposavano i cavalli e il medioevo tingeva le volte col fumo delle fascine. Te li meriti: assaggiali. Il parmigiano li sposa e tu ci vai a nozze… non si diceva del medioevo? Ecco: appaga il tuo ius primae noctis bagnando il tutto con un vino sensibile e avvolgente, prodotto dalla stessa casa che t’ospita e ti sfama: il Rosso di Fontemaggio.

Goduto il rito del verde passare a quel che rimane è una danza della tovaglia, una coreografia di piatti e di forchette, ma non saresti lieto, e non torneresti a casa satollo come il bambino più buono del mondo a cui sono stati esauditi tutti i desideri, se non immergessi a fine pasto il cucchiaino, prima del goccio liberatorio di Nocino, in una crema di mascarpone che non parla ma canta, e canta in chiave di soprano!

P.S.
Se ti va di godertela proprio tutta fatti accompagnare alla Stalla da un amico astemio e cerca una scusa affinché sia lui a guidare… bravo, m’hai già capito! E in caso contrario dovrai far come me: morderti un dito!

lunedì 29 novembre 2010

Ad Assisi

Caro Lettore,
vedi che sono rapido con le news? Ci siamo lasciati a Faenza ed eccomi con un nuovo invito: Assisi. L’appuntamento - gratuito! - è per mercoledì 1° dicembre alle ore 21:00 presso la Ex-Pinacoteca in Piazza del Comune. A deliziarti le orecchie Enrico Fink & MultiMondi Peace Ensemble (Enrico Fink, voce e flauto; Maher Draidi - darbouka; Massimo Ferri, chitarra e bozouki; Gianni Micheli, clarinetti) in occasione del corso per insegnanti “Insegnare i Diritti Umani” organizzato dal Comune di Assisi, Ufficio per il Sostegno alle Nazioni Unite e dalla SIOI, la Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale. Il concerto è presentato dall’Associazione Ritmi. Mica male!

Scrive l’Associazione Ritmi: «La nostra associazione è stata individuata grazie all'impegno che da tempo mette nel proporre sul territorio, e non solo, momenti culturali di alto livello, spinti dal desiderio di sensibilizzare le coscienze su temi di forte attualità sociale.
L’idea di partecipare alla settimana di studi con un concerto nasce dalla consapevolezza e dall’approfondimento della “world music”, inteso come universo di sonorità provenienti dalle diverse tradizioni etno-musicali del mondo. Lo studio di questa disciplina ha portato, in maniera evidente negli ultimi decenni, alla capacità di riconoscere nello stile musicale di derivazione culturale, religioso, tradizionale, geografico, una fonte inestimabile di cultura nella sua massima concezione. La world music, pur essendo un fenomeno divulgativo del patrimonio dei suoni e delle melodie su ampia scala, ha permesso l’approfondimento di molteplici caratteristiche appartenenti a singole “micro-culture”».

Da Faenza

Caro Lettore,
questo lunedì non è come tutti. Noi dell’OMA siamo un poco più grandi e un poco più forti. Poco, certo, ma in forma “indipendente”, che è quanto ci aggrada. Indipendente come il MEI, il Meeting delle Etichette Indipendenti, che sabato ci ha coccolato nel ventre di Faenza, nella pancia del Teatro Masini, bello e trionfante.
Faenza era fredda ma serena. Risuonava in ogni angolo del centro, nei cuori delle piazze. Brillava di musica e noi ne facevamo parte. Ninnoli di un gigantesco albero natalizio per far sorridere il mondo, e farlo ballare.


Ci abbiamo provato. In un’organizzazione ferrea, ma puntuale, abbiamo portato da Arezzo a Faenza il nostro modo di intendere la musica e le ragioni per cui amarla. Il Premio “Suoni di confine” promosso da Emergency e conferitoci dal MEI ne è l’inaspettata (ma meritata, voglio aggiungere) gratificazione.
Del concerto, poi, non posso dirti molto. In una notte piena, condivisa con tanti artisti, il nostro tempo a disposizione era di solito quanto ci basta per scaldar le mani prima che i suoni prendano la parola. Ma di più non era possibile fare. E allora bene così.


Voglio però raccontarti di questa felice notizia che renderà la trasferta a Faenza dell’Orchestra Multietnica di Arezzo forse memorabile, se non per tutti certo per molti. Da oggi anche per te. La nostra più piccola mascotte, il secondogenito di Salma Akter, cantante bengalese, nei camerini del teatro Masini ha mosso per la prima volta i suoi passi nel mondo… senza sostegno. Grandioso! Anche lui, il suo premio, se l’è portato a casa! Andava detto. 


P.S.
Caro nuovo piccolo passeggiatore sul mondo. Non so se riuscirai mai a leggere queste parole, ne dubito fortemente. In ogni modo accogli questo mio pratico consiglio. Studia la musica. Impara a leggerla e a goderne. Segui i consigli di tua madre: se ne intende. Ma poi, se avvertirai d’essere portato per una qualche professione che il mondo riconosce come “pratica” e “utile”, buttatici a capofitto, distogli ogni pensiero dal dedicare il tuo tempo, se non quello perduto, all’arte dei suoni - e all’universo che chiamasi “cultura” in senso lato -, e usa la musica solo per il tuo dopocena. I vantaggi che ne avrai sono indicibili, specialmente nel mondo che ci prospettano i nostri governanti, anche se non potrai pubblicare sul tuo blog le foto dei tuoi concerti. Fai un po’ tu… io te l’ho detto.

venerdì 26 novembre 2010

Pronti per il Premio MEI 2010

Caro Lettore,
ci siamo.
I leggii, i dischi, gli album, quel che serve di microfoni e amplificatori sono nella macchina. Clarone e sax sono al calduccio. Le parti sono nella loro cartellina. Il Pratomagno è bianco di neve. Non manca nulla.
Da par suo il Teatro Masini di Faenza, deputato a contenere la marea multisonora e multicolore della premiazione al MEI di domani sera, promette bene ed è già al completo. Sono lieto ed emozionato. E l’emozione è ancora più forte perché condivisa fra tanti. Perché non già più singola ma entità di un collettivo con una sua propria anima: l’Orchestra Multietnica di Arezzo.
Per mia fortuna ci sono sogni che diventano musica. E c’è musica che plasma ancora sogni. A domani!

P.S.
Oltre all’Orchestra Multietnica di Arezzo suoneranno nella stessa serata: Sara Loreni, Marco Ongaro, Farabrutto, Ivano Marescotti, Marzio del Testa & Quartiere Tamburi con Djeli Kan & Canti Erranti, Oriental Night Fever e l’Orchestra di Porta Palazzo. Preparati a far tardi!

Delle ultime cose

Caro Lettore,
la crisi è arrivata. Adesso si sente, si vede. Non è più una voce al telegiornale. Sono gli amici in cassa integrazione. Sono le scuole che annullano i bandi. Le pubbliche amministrazioni che rinunciano alla cultura, scuotendo la testa. Sono i laboratori teatrali e musicali che non hanno più un costo. Che non hanno più un prezzo. Che valgono meno del tempo che hanno richiesto solo per essere immaginati. Vivo nell’inflazione delle idee. Penso una cosa e so già che pochi istanti dopo, solo averla pensata, mi sarà costato più che il compenso di una sua improbabile realizzazione. Su cui devono mangiare in tanti. Paradossale.
Sono nato in tempi di confine ma non invidio i giovani di oggi. Quando ho iniziato il Conservatorio bastava diplomarsi per trovare un lavoro serio, onesto, ben pagato. Quando mi sono diplomato non c’era più nulla ma c’era speranza. Frequentare il Conservatorio oggi è solo la tappa, una delle tante, di un cammino incerto, contradditorio. Avvilente.
Quando mi sono laureato le opzioni per gli umanisti erano già più che ridotte ma ho seguito i miei studi incoraggiato da borse di studio generose, leggendo molto, incontrando docenti animati da antichi splendori. Non ho mai avuto paura del futuro. Non ho mai temuto che non ci fosse una stanza per ospitarmi. Chi studia oggi deve avere innanzitutto un borsello chiacchierone, quindi voglia di perder tempo. Oppure mettersi lo zaino in spalla. E non dev’essere donna. Non ambire a coniugare carriera e figli perché per questo non ci sarà rispetto, né contratto.
Nella mia scuola elementare c’era una sola insegnante, eccelsa, ma parlavamo tutti la stessa lingua ed avevamo nomi che bastava saperli pronunciare per saperli scrivere. Il mondo è cambiato. È cresciuto. Ed è la mia generazione, ora insegnante, ora governante (chi c’è riuscito), a non vederne i segni. Ad occultarli.
Mi par quasi che stia in questo essere generazione di confini, il problema. È l’uomo adulto, il saggio, il maturo, il vecchio, che non dispensa più consigli e benedizioni ma davanti al deserto prosciuga il fiume - chi ha mano all'acqua - ed ogni risorsa prima di mettersi in cammino. Di varcare il confine. Arriverà forse a posare il piede su un’altra sponda ma che ne sarà dei suoi fratelli? Dei suoi figli? Col fiume in secca, col grano tagliato? I piccoli, le donne, i granelli del futuro?
Potremmo far meglio. Avremmo potuto farlo. Ma ognuno ha il suo confine. Ognuno ha il suo fiume da prosciugare. Riusciranno a perdonarci le nuove generazioni dei corpi e delle menti, i loro, che stiamo sacrificando per il nostro piacere e la nostra meschina sopravvivenza? E se fossimo proprio noi a non sopravvivere? Se quell’acqua fosse già imbevibile?

lunedì 22 novembre 2010

Dentro di noi

Caro Lettore,
leggi questa…

«Ancor più che fuori, le cause delle guerra sono dentro di noi. Sono in passioni come il desiderio, la paura, l’insicurezza, l’ingordigia, l’orgoglio, la vanità. Lentamente bisogna liberarcene. Dobbiamo cambiare atteggiamento. Cominciamo a prendere le decisioni che riguardano gli altri sulla base di più moralità e meno interesse. Facciamo più quello che è giusto, invece di quel che ci conviene. Educhiamo i figli a essere onesti, non furbi. Riprendiamo certe tradizioni di correttezza, rimpossessiamoci della lingua, la cui parola “dio” è oggi diventata una sorta di oscenità, e torniamo a dire “fare l’amore” e non “fare sesso”. Alla lunga anche questo fa una grossa differenza».
Tiziano Terzani, Un mondo che non esiste più, Longanesi, 2010, p. 261.

domenica 21 novembre 2010

Pappa toscana

Caro Lettore,
stiamo studiando combinazioni e metamorfosi. Chimiche e acustiche. Abbiamo trovato il pane duro, in cucina, e ci siamo messi a lavorarlo. È il “pane della tradizione musicale popolare toscana”. In verità Jessica Lombardi, la cuoca, è da un po’ che lo lavora, solo che adesso ha chiamato anche me in cucina. Una cucina tutta nuova… in un casolare vecchio stampo, che gronda anni e storie e custodisce memorie! E così abbiamo aperto la dispensa, preso quel che c’era tra gli strumenti musicali - qualcosa di fresco e qualcosa in barattolo - e l’abbiamo cotto col pane. Ne è venuta fuori l’anomala “pappa” che, unta con l’olio della nostra disciplina culturale, è l’esperimento di cui ti racconto.
Il risultato ci ha sorpreso. Merito dell’olio nuovo… merito del cavolo o del pane duro, in ottimo stato e scricchiolante, questa pappa fresca c’è scorsa tra le mani e ce la siamo mangiata rallegrandocene boccone su boccone, cucchiaio dopo cucchiaio di fisarmonica, di piva e di clarone (e di flauti e di tamburelli e di kazoo e di cajoon e di…).
È ancora un esperimento. Una prova a porte chiuse. È per ora nient’altro che l’omaggio mio e di Jessica all’accoglienza e all’amicizia. E alla cucina musicale delle cose minime eppur gustose perché sanguigne, plurigenerazionali. Ma è anche l’inizio. Ed il futuro.
Appena ci saranno occasioni pubbliche, prometto, ti spedirò un invito. Non mi dimenticherò di te e della tua pazienza. E nell’attesa gustati questi due assaggi. Per farti un’idea e placare il languorino.
Buona domenica! Buona pappa! Buon pappappetito!



venerdì 19 novembre 2010

La perdita della qualità

Caro Lettore,
leggi questa…

«La perdita della qualità, così evidente a tutti i livelli del linguaggio spettacolare, negli oggetti che esso loda come nei comportamenti che regola, non fa che tradurre i caratteri fondamentali della produzione reale che scarta la realtà: la forma-merce è da parte a parte l’uguaglianza a se stessa, la categoria del quantitativo. È il quantitativo che essa sviluppa, e in quello soltanto essa può svilupparsi».
Guy Debord, La società dello spettacolo, Punto 38.

mercoledì 17 novembre 2010

L’Album dell’OMA (Orchestra Multietnica di Arezzo)

OMA - Orchestra Multietnica di ArezzoCaro Lettore,
sono passati poco più di tre anni dalla fondazione e l’OMA - Orchestra Multietnica di Arezzo vince il Premio “Suoni di Confine” al Meeting degli Editori Indipendenti (MEI). Sabato prossimo, 27 novembre, saremo tutti a Faenza per festeggiare nel modo migliore che conosciamo: suonando. Vieni?
Ma prima ancora, in omaggio a questi tre anni di lavoro e d’impegno, proprio nel tempo in cui l’OMA cambia pelle e diventa Associazione di Volontariato, voglio parlarti della ricerca che ho fatto per portare il mio personale contributo, e ringraziamento, a questa straordinaria forma d’incontro e di comunicazione, e a chi le ha dato vita e permette che continuino a fluirle note e pace nelle vene.
All’inizio ero incerto sulla forma da dare ai contenuti del mio omaggio all’OMA. Finché ho immaginato un sentiero che sposasse le tante foto che conservo di quest’orchestra, grazie innanzitutto a un’impareggiabile compagna di vita, alle molte parole uscite sulla stampa, a volte estremamente lusinghiere, che ne hanno accompagnato la storia.
Il risultato è l’Album fotografico “OMA - Orchestra Multietnica di Arezzo” che vedi (se segui il link sul titolo e sull'immagine) e che metto a tua disposizione per una visione semplice e gratuita.
Se, incontenibile cultore della memoria (come me), tu fossi desideroso di sfogliarne una copia cartacea - o più… regala l’Album dell’OMA per Natale! - sei pregato di farne richiesta alle Officine della Cultura. Quello che avanzerà dal puro costo di stampa sarà devoluto interamente all’Orchestra a sostegno dell’attività didattica.
Grazie ancora per il tuo sostegno. Ci vediamo al MEI!
Per approfondire il lavoro dell’OMA vai alla pagina: www.orchestramultietnica.net.

mercoledì 10 novembre 2010

Io e te non siamo ancora uguali

Io e te non siamo ancora uguali.
Io tremo tu fremi.
Io piango tu piovi.
Io scatto tu aspetti.
Io penso tu senti.
E domani
Io sarò e tu no.
Ma solo domani.
Poi t’incontrerò.

lunedì 8 novembre 2010

Funerale alla stampante… rimandato!

Caro Lettore,
che mondo meccanico, che relazioni incivili! Dopo 12 anni di onorato – e instancabile – servizio la mia formidabile Epson Stylus Color 670 s’abbacchia, lampeggia nei 3 led, contemporaneamente, rinuncia. Ha visto passare dati da quattro pc diversi, ha cambiato casa 4 volte, ed ora s’arrende e molla la presa. Non risponde, pare aver perso occhi e orecchie… la vecchiaia? La capisco! Ah, come la capisco e, non avendo più nulla dell’originario pacchetto, m’appresto a sacrificarla – d’altronde con quel che costano le stampanti nuove perché spendere per ripararne… forse… una tanto vecchia? Eppure ho un tarlo che mi rode. Sarà perché con 8 euro riesco ancora a ricaricare nero e colore, sarà perché ci sono affezionato, faccio una ricerca in internet – “solo per scrupolo” mi dico, certo del suo funerale necessario – e trovo invece un “grande” che scrive su un blog di nome www.ieie.it che spiega la malafatta… anzi il malaffare! È solo un trucco della Epson per spingerti ad entrare in un centro riparazioni… e magari, allettato, acquistare una stampante nuova (che avrà almeno 4 diversi contenitori di inchiostro per la modica cifra di 40 euro di ricarica e che prometterà di far durare i colori in eterno…).
Non volevo crederci ma ho seguito il consiglio del blog – accendere la stampante tenendo premuti insieme i tasti carta e inchiostro quindi, all’accensione del led carta, premere immediatamente il pulsante inchiostro per poco oltre i 10 secondi fino all’accensione dei 3 led e al normale ripristino delle funzioni della stampante – ed ora celebro la rinascita della mia più vecchia amica informatica! Grazie Ieie e grazie a questa rete paladina della libera informazione!

giovedì 4 novembre 2010

Mattine col giornale in bocca

Caro Lettore,
ci sono mattine che nascono con l’oro in bocca. Anzi: col giornale. Come questa che ha portato le buone note di Osvaldo Tavarnesi (Il Nuovo Corriere Aretino) sulla replica di “Rosa Lullaby” al Teatro Rosini di Lucignano. Sarà ma… ha smesso di piovere…
Se non riesci a leggere bene segui il link.
Buona giornata anche a te!

martedì 2 novembre 2010

Di figli, teatro e genitori

Caro Lettore,
in questi anni di teatro per l’infanzia ho visto bimbi tristi e bimbi allegri. Bimbi muti e incontenibili. Bimbi Iperattivi. Iperiperattivi o talmente fermi da sembrare sedati, chimicamente placati. O con le pietre tra i polmoni. Bimbi pensierosi e spensierati. Bimbi e genitori. Presenti e assenti. O distanti ma assordanti. Perché al teatro/laboratorio per i bimbi il genitore va spesso come a una festa di compleanno, come a un’animazione trastullante, di poche pretese, quasi ignorante talmente è infantile e, all’apparenza, “inintelligente”. Non sono genitore, Lettore, ma dalla parte di chi sta coi bimbi, e li organizza in occhi e orecchie e lingue per fare un gioco chiamato ‘teatro’ - ma che già, per me, è il futuro che cerca ragioni, anche nei bimbi, anche coi bimbi -, m’è capitato spesso di lamentarmi di quel brusio genitoriale che col teatro definito ‘per i bimbi’ s’assenta, s’astiene e, nell’attesa, fa anticamera coi suoi simili e si ciarla e si racconta. A voce alta! Come se il bimbo e chi l’organizza si trovasse bene solo in quel frastuono che ormai è la nostra cucina all’ora di cena coi racconti del giorno - quando ci sono - e la televisione accesa in uno stesso tempo, in una stessa storia. Che disastro di racconti! Che storie venute male! Che trame caotiche, insensibili, dispersive alle orecchie dei bimbi e alla loro grande memoria pensante.
E poi viene quel giorno in cui figli e genitori si presentano integri e compatti come opere d’arte esposte in galleria di cui non si riconosce dove la cornice ha fine e l’opera inizio. In cui il fanciullo è grande della fanciullezza che il grande ancora custodisce e si diverte a rappresentare. Questi sono i bimbi e gli adulti che porto nel cuore e per i quali il mio scrivere e fare teatro non è più lavoro, né mestiere, ma è la ‘simpatia’ del diapason che risuona di quel che altri fanno vibrare.
A loro dico grazie perché senza di loro sarei carne e mente da macello, talmente inutile da poter essere assente.

Nella foto gli ultimi di questa stirpe generosa che mi è stato dato in sorte d’incontrare. Il pomeriggio era di pioggia ma non si vede. Eravamo al sole, noi, di una favola in costruzione e non solo in senso letterale. Rischiarati dagli scaffali della libreria Fahrenheit 451 di San Giovanni Valdarno. È a voi che dico grazie!

sabato 30 ottobre 2010

Grazie!


Caro Lettore,
approfitto di te per ringraziare i tanti spettatori di Lucignano e d’Italia - ce n’erano da Arezzo, ovviamente, ma anche da Napoli, da Perugia, da Trieste! - che ieri hanno passato con me e con il cast di “Rosa Lullaby”, prezioso e inalterabile come il graffio inciso sulla pietra, prima il loro tardo pomeriggio, in Biblioteca, quindi il dopocena, lo spazio ormai dedicato alla tv e ai film iperdefiniti offerti dalle reti a pagamento o ai giochi interattivi. Hanno investito in tempo ed energie per dedicarci i loro sguardi, i loro pensieri, e mettere il loro tempo nelle nostre mani e tra le nostre note. Grazie! Il Teatro Rosini è stato accogliente come il guscio di una tartaruga e, ancora una volta - come sempre ci capita con “Rosa Lullaby” - ci siamo sentiti a casa.
Voglio segnalarti questo pensiero, minimale e giocondo, che ci ha fatto un po’ a tutti sorridere. Stavamo mangiando uno spuntito in Biblioteca, conclusa la presentazione, quando qualcuno ha detto: «Stasera chissà se ci sarà gente... c’è la partita!». La partita di venerdì sera? I nostri sguardi si sono cercati con la solita espressione di chi deve organizzare e promuovere cultura in questi tempi grami di tagli e di calcio onnipresente e un po’ dicendo “ma come si fa” un po’ suggerendo “non c’è rimedio” Massimo Ferri, responsabile di Officine della Cultura, è uscito più o meno con: «Sarebbe bello pensare agli organizzatori di una partita di calcio che guardano lo stadio vuoto e dicono: “Chissà se ci sarà gente stasera... c’è il teatro!». Abbiamo riso... non si poteva fare altrimenti: era un’immagine troppo esagerata! E invece, a dispetto del calcio, l’immagine esagerata l’abbiamo rappresentata: non sappiamo se il calcio ne abbia sofferto ma il teatro era al colmo della sua felicità.

Gli scatti, prima in Biblioteca poi in teatro, sono di M. C.